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cronaca

Cosa possiamo aspettarci da un mondo post vaccini? I modelli matematici e i casi di Cile, Italia e Israele

In un articolo precedente pubblicato su 24+ abbiamo raccontato due studi che hanno provato a mappare il futuro di un mondo in cui la campagna vaccinale contro il COVID-19 procede più o meno rapidamente, e cosa potremmo aspettarci quanto a ritorno alla normalità. La conclusione principale di entrambi è che una campagna vaccinale il più rapida possibile, concentrata sulle categorie più rischio, va coniugata con una serie di caute riaperture. Eliminare le restrizioni troppo presto o troppo in fretta, suggeriscono gli studi, pone il rischio di nuove grandi ondate.

Gli scenari che disegnano sono basati su modelli matematici che, in qualche misura, semplificano la realtà. Questo è inevitabile: un’epidemia dipende da talmente tanti fattori biologici, sociali, economici e culturali che considerarli tutti è un’impresa impossibile, e così gli epidemiologici non possono che cercare approssimazioni sempre migliori.

Per capire quanto le loro ipotesi possono applicarsi al mondo reale ci sono alcune nazioni da tenere sott’occhio, e in particolare quelle più avanti con le vaccinazioni. La prima è il Cile, che secondo le statistiche compilate dal sito Our World In Data a fine marzo aveva vaccinato completamente (cioè quando necessario con il ciclo completo di due dosi) il 18% della popolazione. Per fare un paragone nello stesso periodo l’Italia era molto più indietro, nella stessa metrica, e intorno al 5%.

La campagna vaccinale cilena è stata rapidissima, ed è arrivata a questi numeri nel solo mese di marzo. D’altra parte, come ha raccontato il New York Times, questa velocità ha generato un falso di sicurezza e contribuito a un rapido aumento nel numero di infezioni e morti che sta sovraccaricando il sistema sanitario. “Quando i tassi di trasmissione sono elevati il vaccino non riesce a tenere a freno subito le nuove infezioni”, ha spiegato al giornale l’epidemiologa Denise Garrett, “e con le nuove varianti più contagiose è improbabile che vedremo un grosso impatto prima che la maggior parte della popolazione sia vaccinata”.

La dottoressa Francisca Crispi, presidente di un’associazione di medici cileni, ha raccontato che il governo si è mosso troppo in fretta riaprendo le frontiere e, a gennaio, creando un sistema di permessi per consentire le vacanze estive. Poco più avanti hanno riaperto palestre, chiese, centri commerciali, ristoranti. Quello cileno, dunque, è un caso che al momento sembra confermare la necessità di un approccio cauto alle riaperture.

A questo si aggiunge che una parte significativa delle somministrazioni sono state del vaccino cinese Sinovac, che come sottolineato di recente dalle stesse autorità cinesi non ha un’efficacia particolarmente elevata. Dei vaccini di produzione cinese non sono mai stati resi pubblici i dati che consentono di valutarne i risultati in maniera indipendente.

Molto più incoraggiante invece la situazione di Israele, dove i vaccini sono stati somministrati ancora più in fretta e che è in effetti la nazione al mondo con la maggior fetta di popolazione coperta dall’intero ciclo: il 55% a fine marzo. Fattori come la diffusione della variante B.1.1.7, identificata per la prima volta nel Regno Unito e che si diffonde molto più rapidamente, avevano portato da fine novembre a una grande impennata dei casi – come d’altra parte è successo anche in Italia.

Una rapidissima campagna vaccinale, resa possibile da un’ampia disponibilità di dosi e un’efficiente distribuzione, insieme a un nuovo lockdown, hanno frenato l’espansione del contagio per riportarlo in seguito a livelli molto bassi. Anche in Israele sono poi cominciate le riaperture, e un sistema di Green Pass consente a vaccinati o guariti di accedere a palestre, hotel, piscine e altre strutture al chiuso. Allo stesso tempo i dati di mobilità forniti da Google suggeriscono che attività come negozi, trasporti, e luoghi di lavoro stanno ancora funzionando fra il 20 e il 25% sotto il valore “normale”, mentre restano pesanti restrizioni all’ingresso nel paese.

Come hanno mostrato gli eventi della scorsa estate, le caratteristiche di questo virus possono renderne il ritorno piuttosto lento, una volta che la sua circolazione è stata portata molto in basso da un pesante lockdown – ragione per cui conviene restare vigili. Allo stesso tempo, il lockdown israeliano è ancora relativamente recente per poterne separare con una certa sicurezza gli effetti da quelli della campagna vaccinale. Ma per il momento, fortunatamente, il numero di casi resta ancora basso.