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economia

Disoccupazione in calo, euro forte e inflazione moderata: come era l’Europa prima del Covid-19

Sul sito di Eurostat l’edizione 2020 della pubblicazione digitale ” L’economia europea dall’inizio del millennio “. Trovate per la prima volta i dati relativi all’Unione europea aggregata con 27 Stati membri. Si trovano le serie storiche di una ampia varietà di indicatori macro-economici.

Consultando la dashbord realizzata da Eurostat si ottengono risposte quantitativa a domande quali: come sono cambiati i prezzi in questo periodo? Come si è evoluto il commercio? Il tasso di disoccupazione è inferiore o superiore oggi rispetto all’inizio o al millennio? I prezzi delle case sono più alti o più bassi? Su cosa spende il governo il denaro?

Questa edizione descrive il quadro economico fino al 2019. Di conseguenza, i primi risultati di eventuali implicazioni relative a COVID-19 saranno possibili solo nella prossima edizione della pubblicazione. Per informazioni sugli indicatori a breve termine, comprese le implicazioni relative a COVID-19, consultare la sezione del sito web dedicata .

Alcuni spunti per distinguere tre fasi nell’economia dell’Ue

Come spiega bene l’Istat, l’indicatore più comune per misurare l’attività economica è il Pil. Nel periodo dal 2000 al 2018 la crescita annua del Pil nell’Ue è stata piuttosto volatile. Tra il 2001 e il 2007, l’economia è cresciuta ad un tasso annuo compreso tra +1 % e +3 %. Dal 2008 al 2013, l’economia dell’Ue è stata duramente colpita dalla crisi finanziaria, con una caduta del Pil di oltre il 4 % nel 2009 e di nuovo un leggero calo nel 2012. Da allora, l’economia si è progressivamente ripresa, con tassi di crescita annui del +2 % circa tra il 2014 e il 2018.

Un andamento analogo è stato osservato nel complesso dell’area dell’euro e tra gli Stati membri. Tuttavia, non tutti gli Stati membri hanno registrato fluttuazioni della stessa intensità. In particolare, l’impatto sul Pil della crisi finanziaria è stato più profondo in Grecia, Croazia, Spagna, Portogallo e Cipro con diversi anni consecutivi di crescita negativa.

Nell’Ue, gli investimenti e i consumi seguono le stesse tre fasi del Pil, ma con fluttuazioni più ampie nel caso degli investimenti. Con la ripresa dalla crisi finanziaria, tra il 2015 e il 2018 gli investimenti e i consumi sono cresciuti costantemente: rispettivamente intorno al +4 % e +2 % annui.

Una inflazione moderata

L’inflazione nell’Ue è misurata dall’andamento dell’ Indice armonizzato dei prezzi al consumo. Tra il 2001 e il 2007, nell’Ue il tasso annuo di inflazione si è attestato intorno al +2 %. Dal 2008 al 2011, il tasso di inflazione ha registrato variazioni più marcate da un anno all’altro, mentre ha segnato un graduale rallentamento dal 3 % nel 2011 allo 0 % nel 2015, prima di raggiungere l’1,7 % nel 2017 e l’1,9% nel 2018.

Questo profilo ha caratterizzato in larga misura l’area dell’euro e la maggior parte degli Stati membri. Nel 2018, i tassi di inflazione più alti si sono osservati in Romania (4,1 %), Estonia (3,4 %), Ungheria (2,9 %), Bulgaria e Lettonia (entrambe 2,6 %); i più bassi in Danimarca e Irlanda (entrambe 0,7 %), Grecia e Cipro (entrambi 0,8 %).

Dal 2011 ampia riduzione dei tassi di interesse a lungo termine

I tassi di interesse a lungo termine possono essere misurati attraverso l’andamento dei  rendimenti obbligazionari a lungo termine. Nell’Ue, il tasso era 5,3 % all’inizio del millennio e ha oscillato tra il 4 % e il 5 % fino al 2011. Da allora è costantemente diminuito fino a raggiungere l’1,1 % nel 2016 per poi aumentare all’1,4 % nel 2018. Gli Stati membri hanno seguito all’incirca lo stesso andamento. Nel 2018, i tassi variavano dallo 0,3 % in Lituania, 0,4 % in Germania e 0,5 % in Danimarca, al 4,7 % in Romania, 4,2 % in Grecia e 3,2 % in Polonia.

Euro più forte nei confronti della sterlina inglese e del dollaro USA

Per quanto riguarda i  tassi di cambio, l’euro si è rafforzato nei confronti della sterlina inglese (da 0,61 sterline per un euro nel 2000 a 0,88 sterline nel 2018) e del dollaro statunitense (da 0,92 dollari per un euro nel 2000 a 1,18 dollari nel 2018), mentre si è indebolito rispetto al franco svizzero (da 1,56 franchi svizzeri per un euro nel 2000 a 1,16 franchi svizzeri nel 2018).

Disoccupazione in calo

Dopo essere rimasto relativamente stabile intorno al 9 % tra il 2000 e il 2005, il tasso di disoccupazione  è sceso al 7,0 % nel 2008. Da allora nell’Ue il tasso è aumentato costantemente fino a raggiungere un picco del 10,9 % nel 2013. In linea con la ripresa economica, la disoccupazione è successivamente scesa al 7,6 % nel 2017. La tendenza è analoga per la disoccupazione maschile, femminile e giovanile, sebbene con tassi leggermente più elevati per le donne rispetto agli uomini e circa doppi nel caso del tasso per  i giovani.

Negli ultimi anni, anche l’area dell’euro e tutti gli Stati membri hanno registrato un tasso di disoccupazione in riduzione. Tuttavia, permangono ampie differenze tra gli Stati membri, con tassi che nel 2018 andavano dal 2,2 % in Cechia, 3,4 % in Germania e 3,7 % in Ungheria e a Malta per raggiungere il 10,6 % in Italia, il 15,3 % in Spagna e il 19,3 % in Grecia.

Lavoro e occupazione. Dall’inizio del millennio, sempre più persone lavorano, mentre le condizioni di lavoro sono cambiate.

Forte aumento del tasso di occupazione femminile

Tra il 2002 e il 2018 il  tasso di occupazione  per il complesso della popolazione in età lavorativa è cresciuto dal 67 % nel 2002 al 73 % nel 2018, principalmente grazie all’aumento del tasso di occupazione femminile (dal 58 % al 67 %). Per gli uomini, il tasso è aumentato leggermente dal 75 % al 79 %. Tuttavia, per i giovani di età compresa tra 20 e 24 anni, l’andamento è stato diverso con il tasso di occupazione che, dal 53 % nel 2002, ha fluttuato tra il 55 % nel 2008 e il 48 % nel 2012-2014 per tornare al 53 % nel 2018.

L’aumento del tasso di occupazione si è registrato anche nell’area dell’euro e in gran parte degli Stati membri con incrementi più elevati in Bulgaria, Polonia e Malta. Nel 2018, i tassi di occupazione femminile più alti si sono riscontrati in Svezia (80 %), Lituania (77 %), Germania e Estonia (entrambe 76 %); per gli uomini in Cechia (87 %), Malta (86 %) e Svezia (85 %), Regno Unito, Paesi Bassi e Germania (tutti 84 %). In tutti gli Stati membri, il tasso di occupazione degli uomini è superiore a quello delle donne.

In aumento l’occupazione a tempo determinato e a tempo parziale

Nel periodo dal 2002 al 2018, la possibilità di trovare un lavoro a tempo indeterminato si è leggermente ridotta con una quota di occupati a tempo determinato nell’Ue in aumento dall’11 % nel 2002 al 13 % nel 2018. Nell’Ue nel 2018 l’occupazione a tempo determinato è pressoché la stessa tra le donne (14 %) e gli uomini (13 %). La quota totale dei lavoratori a termine varia tra gli Stati membri, con le incidenze più alte in Spagna (26 %), Polonia (24 %), Portogallo (22 %) e Croazia (19 %), e quelle più basse in Romania e Lituania (entrambe 1 %), Estonia e Lettonia (entrambe 3 %).

Un altro cambiamento importante nei modelli lavorativi è la diffusione del lavoro part-time. Nell’Ue, la percentuale di coloro che lavorano a tempo parziale è cresciuta dal 15 % nel 2002 al 19 % nel 2018. Nell’Ue nel 2018 l’occupazione part-time è molto più diffusa tra le donne (31 %) rispetto agli uomini (8 %). La quota complessiva dei lavoratori a tempo parziale varia tra gli Stati membri, con le incidenze più alte nei Paesi Bassi (47 %), Austria (28 %), Germania (27 %), Belgio (24 %) e Regno Unito (23 %), e le più contenute in Bulgaria (2 %), Ungheria (4 %) e Croazia e Slovacchia (entrambe 5 %).

L’Europa e il commercio mondiale

L’Ue è uno dei maggiori operatori mondiali nel commercio internazionale e rappresenta il secondo maggiore esportatore e importatore di beni al mondo, con solo la Cina che esporta più beni e gli Stati Uniti che ne importano di più. Inoltre, l’Ue è il primo operatore al mondo negli scambi di servizi.

Nel 2018, i principali partner dell’Ue per gli scambi commerciali totali di beni e servizi sono gli Stati Uniti (21 % del totale degli scambi extra Ue), la Cina (12 %) e la Svizzera (8 %). Tra il 2008 e il 2018 l’importanza della Cina è cresciuta dal 9 % al 12 % e gli Stati Uniti dal 18 % al 21 %. D’altra parte, la quota della Russia negli scambi dell’Ue di beni e servizi si è quasi dimezzata dall’8 % al 5 %.

Nel 2018, gli scambi di merci rappresentano il 70 % del commercio totale dell’Ue di beni e servizi. Analizzando separatamente i beni e i servizi, entrambi hanno registrato andamenti analoghi, con valori più che raddoppiati tra il 2000 e il 2017. Inoltre, entrambi hanno registrato una riduzione nel 2009 a seguito della crisi finanziaria.

Per i beni un surplus commerciale dell’Ue solo dal 2013

Per quanto riguarda il saldo degli scambi comunitari di beni, si possono individuare due fasi: un deficit costante (vale a dire importazioni superiori alle esportazioni) tra il 2000 e il 2012, seguito da un avanzo crescente, che ha raggiunto 146 miliardi di euro nel 2016 e successivamente è diminuito a 122 miliardi nel 2017 e ulteriormente a 61 miliardi nel 2018.

Nel 2018, i surplus più elevati per gli scambi commerciali di beni (sia interni all’Ue sia extra Ue) si sono registrati in Germania (+222 miliardi di euro), Irlanda (+108 miliardi di euro nel 2017), Paesi Bassi (+68 miliardi di euro), Italia (+47 miliardi di euro) e Danimarca (+15 miliardi di euro), e i deficit più ampi nel Regno Unito (-156 miliardi di euro), Francia (-48 miliardi di euro), Spagna (-31 miliardi di euro) e Grecia (-23 miliardi di euro).

Per i servizi un costante surplus commerciale dell’Ue

A differenza degli scambi di beni, per il periodo dal 2000 al 2018 l’Ue ha registrato un surplus continuo negli scambi di servizi. Tale eccedenza è fortemente aumentata da 15 miliardi di euro nel 2000 a 190 miliardi di euro nel 2018.

Nel 2018, i surplus più ampi sono stati registrati nel Regno Unito (+121 miliardi di euro), Spagna (+55 miliardi di euro), Francia (+30 miliardi di euro), Lussemburgo (+23 miliardi di euro) e Polonia (+22 miliardi di euro); gli unici deficit si sono registrati in Germania (-20 miliardi di euro), Irlanda (-10 miliardi di euro), Belgio (-5 miliardi di euro), Italia (-4 miliardi di euro) e Finlandia (-2 miliardi di euro).