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tecnologia

Silicon Valley: ecco le startup e gli unicorni che hanno licenziato. L’innovazione non è immune al Covid-19

L’innovazione non è immune al Covid-19. Da metà marzo, numerose startup e unicorni negli Stati Uniti (e nel mondo) hanno effettuato licenziamenti.

La dimostrazione però che lavorare nell’innovazione, di questi tempi, non è necessariamente un sinonimo di sicurezza del posto di lavoro arriva dai dati di layoffs.fyi che si occupa appunto di censire quanti licenziamenti siano avvenuti a partire da marzo a seguito del diffondersi del Corona virus. Ripresi anche da Visual Capitalist e con riferimento al periodo 11 marzo – 26 maggio, i numeri mettono in luce lo scenario dei licenziamenti (layoffs) avvenuti tra le start-up tecnologiche sia negli Stati Uniti, per cui sono state individuate trenta delle più importanti aziende appartenenti a questa categoria, sia a livello mondiale di cui sono considerati 15 casi extra statunitensi.

Nei grafici che seguono, sono riportate le startup americane per numero di licenziamenti con l’aggiunta sia dell’informazione relativa alla percentuale sul totale dei dipendenti (gradiente che spazia dal verde al rosso) sia per quanto riguarda il settore di appartenenza che può servire per fare un highlight sui nomi delle aziende.

Vedere il settore dei trasporti e quello del turismo tra quelli più bersagliati dai licenziamenti (tra le tre trenta startup in questione) non è una grossa sorpresa viste le restrizioni applicati in tempi e modi diversi a livello mondiale, anche se come si evince dalla lista sulla destra i settori colpiti sono di natura eterogenea.

Spostando il focus sulle singole realtà, il caso di Uber, probabilmente il riferimento delle startup per quanto riguarda il tema spostamenti, spicca con circa 6700 licenziamenti, equivalenti a circa un 25% sul totale dei dipendenti, conseguenza diretta della chiusura di quarantacinque uffici.

A seguire, sulla scia di Uber si accodano altre cinque aziende con oltre mille tagli nell’arco di due mesi e mezzo anche se caratterizzate da impatti sul totale dei lavoratori alquanto eterogenei: Groupon (2800, pari 44%), Airbnb (1900, 25%), Toast (1300, 50%), Yelp (1000, 17%) e Magic Leap (1000, 50%).

La diversità in merito a quanto i licenziamenti abbiano inciso sul totale della forza lavoro è comunque una costante nel resto dell’elenco e spazia da casi in cui l’impatto è stato parzialmente attenuato dai numeri assoluti, come per WeWork i cui i 550 licenziamenti corrispondono solo al 4% rispetto ai 15 quindicimila dipendenti, ad altri molto più gravi in cui i tagli raggiungono picchi vicini o pari al 100% (si vedano i casi di Flywheel Sports e Deliv, unici indicati in rosso).

 

Analogamente nei prossimi grafici, sono riportate le 15 aziende extra USA corredate questa volta dall’informazione relativa al paese di appartenenza.

Allargando l’orizzonte geografico al di fuori dei confini statunitensi, fra le quindici aziende esaminate, la forbice di licenziamenti varia tra i 1550 di Agoda, realtà con sede principale a Singapore e leader nel settore di prenotazioni alberghiere, ai 367 della britannica Deliveroo nota appunto per i servizi di consegna a domicilio.

Nel poco fortunato podio internazionale, si classificano rispettivamente al secondo e terzo posto, l’indiana Ola (specializzata in ride-hailing) con 1400 tagli pari ad oltre un terzo della forza lavoro (35%) e la brasiliana Stone con 1300 licenziamenti (20% dei dipendenti).

Complessivamente è l’India il paese maggiormente colpito nell’ambito di questa analisi con un totale di 5370 licenziamenti distribuiti fra 6 aziende, mentre dal punto di vista di quanto abbiano inciso i tagli rispetto al totale dei dipendenti, l’azienda maggiormente impattata è OneWeb (Inghilerra) i cui 451 lavoratori licenziati costituisce l’85% del totale, seguita dalla coppia formata da Lendingkart e Renmoney appaiate a quota 50%.