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cronaca

Solitudine, pessimismo e paura: l’impatto psicologico (ed economico) del Coronavirus sui giovani europei

L’impatto sanitario dell’epidemia di COVID-19 ormai non potrebbe essere più evidente, con – stima un rapporto dell’INPS – circa 47mila morti in più fra marzo e aprile 2020 rispetto all’identico periodo degli anni precedenti. Ma le conseguenze per la salute fisica non sono le uniche di un evento tanto grave, e ora cominciano ad emergere i primi studi che indagano anche quelle di altro tipo, dalle psicologiche alle economiche.

Uno studio dell’agenzia europea Eurofound, condotto in aprile, ha individuato alcuni effetti causati dall’epidemia:  i le evidenze principali sono solitudine e scarso ottimismo per il futuro. Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno intervistato oltre 85mila persone in 27 nazioni europee, chiedendo loro come la pensano su un gran numero di temi diversi.

In una scala da uno a dieci, gli europei hanno valutato la soddisfazione per la propria vita e la propria felicità intorno a valori simili, rispettivamente a 6,3 e 6,4, con valori molto inferiori rispetto a quanto registrato da un’indagine precedente (la European Quality of Life Survey, EQLS) nel 2016 che le aveva trovate rispettivamente a 7 e 7,4. Allo stesso tempo, come sottolinea il rapporto, le due indagini hanno usato metodologie diverse per cui i valori vengono forniti come numeri di contesto e non necessariamente per fare confronti diretti fra le due. Questo vale un po’ per tutti i numeri che seguono.

Appena il 45% delle persone si è detta ottimista, contro il 64% riportato quattro anni prima, con chi vive nelle nazioni più colpite (fra cui l’Italia) che come c’era da attendersi è apparso meno fiducioso. Nonostante l’epidemia abbia provocato il maggior numero di vittime fra gli anziani, le persone di una certa età hanno mostrato risultati leggermente migliori rispetto a quelli dei giovani.

Gli effetti della quarantena. Il 20% degli under 35 ha dichiarato di sentirsi solo. Una grossa differenza  rispetto al 2016 . I giovani, si legge nello studio, sentono di essere stati colpiti di più dalle restrizioni rispetto agli anziani”.

Diventano più prevalenti anche sentimenti di ansia dovuti alle implicazioni sanitarie, sociali ed economiche della crisi, e per esempio il 18% ha sottolineato di essere in uno stato di tensione contro l’11% dell’altra indagine EQLS precedente nel 2016. Anche in questo caso il sentimento è più diffuso fra i giovani che fra gli over 50. Nel complesso, fra i ventisette paesi censiti l’Italia è risultata terzultima quanto a benessere mentale, davanti solo a Grecia e Polonia, mentre nell’altro verso troviamo Danimarca, Lussemburgo, Irlanda, Malta e Finlandia.

 

Gli effetti dell’epidemia di COVID-19 sono stati pesanti anche da un punto di vista economico. Secondo il rapporto “Living, working and COVID-19: First findings” pubblicato da Eurofound fra tutti gli intervistati, il 5% ha dichiarato di aver perso il proprio lavoro in maniera definitiva a causa della pandemia, un altro 23% di aver perso un contratto o impiego temporaneo. Il 16% invece pensa che probabilmente perderà il lavoro nell’immediato futuro.

Oltre metà degli europei dice di lavorare ora per meno tempo, ma al di là delle medie generali spicca (in negativo) il risultato italiano. Il nostro paese è fra quelli dove l’impiego sembra essersi contratto di più, secondo quel che riferiscono gli intervistati, e grosso modo quanto in Francia. In nazioni nordiche come Svezia, Finlandia o Danimarca, d’altra parte, troviamo il maggior numero di persone che hanno espresso un minor cambiamento in questo senso.

Una parte di questa differenza si deve al lavoro da casa, che in base a quanto riferito pare essere aumentato parecchio proprio in queste ultime tre nazioni, e più in generale nel resto del nord Europa. Pur non raggiungendo questi livelli, anche gli italiani segnalano una netta crescita: un filo oltre il 40% di loro dice di aver cominciato a lavorare a distanza, contro una media europea di qualche punto inferiore.

Chi passa al tele-lavoro durante la crisi, sottolinea il rapporto, è soprattutto qualcuno che aveva già fatto esperienze del genere in passato, mentre il passaggio riflette anche la diversa prevalenza dei tipi di lavoro nei vari paesi. In alcuni sono più diffuse occupazioni che difficilmente possono essere svolte a distanza, mentre dove per esempio diversi tipi di servizi possono essere riconvertiti in maniera più semplice. Più complicato il caso delle industria, in particolare se meno automatizzata.

In questo senso uno dei gruppi più a rischio è costituito dalle persone che hanno figli, le quali date le circostanze non possono far ricorso a servizi di assistenza e devono badar loro finché le scuole restano chiuse – un peso che ricade in misura maggiore sulle donne ancora più di quanto non facesse già prima, soprattutto in Italia. Una persona su cinque con figli sotto i dodici anni ha sottolineato di aver difficoltà a concentrarsi nel proprio lavoro, contro il 5% delle famiglie senza figli e il 7% di quelle con figli fra 12 e 17 anni. E d’altra parte fra coloro che lavorano da casa, al momento, oltre un quarto ha proprio figli sotto i dodici anni.

Più in generale, il sentimento economico predominante è quello dell’incertezza. Il 38% dei rispondenti dichiara una situazione economica peggiore in seguito all’epidemia, un valore quasi doppio rispetto all’indagine precedente del 2016. La stessa fetta di persone ritiene anche che in tre mesi la propria situazione finanziaria peggiorerà. In questo senso gli italiani sono fra coloro con valori maggiori per quanto riguarda il primo aspetto, diversi punti sopra la media europea, ma più vicini a questi ultimi se invece si chiede loro come credono saranno le cose fra tre mesi.

Uno dei problemi principali riguarda la mancanza di risparmi, con oltre metà delle persone che dice di non poter mantenere il proprio standard di vita per più di tre mesi senza reddito. Il 27% non ha risparmi di alcun genere, il 29% sarebbe in grado di coprire soltanto tre mesi. In Italia d’altra parte la tendenza al risparmio sembra essere leggermente maggiore, con il 45% che dice di poter vivere al più tre mesi con quanto ha già rispetto per esempio al 53% della Spagna e al 59% della Francia.

Quasi metà di tutti gli intervistati riporta che la propria famiglia ha difficoltà ad arrivare a fine mese, con il 10% che esprime grosso disagio, il 13% difficoltà medie e un altro 24% problemi meno pressanti. Si tratta di un aumento significativo rispetto al 2016, quando a dichiarare questo tipo di problemi erano stati il 41% degli europei, con in particolare una grossa crescita proprio della fetta in maggiore difficoltà (10% contro il 6% del 2016).

Come succede ogni volta, le conseguenze più pesante sono per chi era già prima o si trova ora senza un impiego. Di queste persone, mostra il rapporto, il 28% è in arretrato con le bollette, il 22% per l’affitto o il mutuo.

Tutti questi problemi hanno portato a grossi cambiamento nella fiducia degli europei verso le istituzioni. Un basso livello di fiducia appare verso i media e i governi nazionali, e quella verso l’UE ancora minore rispetto a questi ultimi. L’Italia è fra le nazioni dove la fiducia nell’Unione Europa appare solitamente minore, ma durante questa crisi valori ancora più bassi sono stati rilevati, fra l’altro, in Spagna e Francia. Maggiore invece è risultata la fiducia rilevata nei sistemi sanitari nazionali, con l’italiano che appare grosso modo intorno al valore medio europeo. Le persone più giovani, di solito, hanno dichiarato maggiori livelli di fiducia un po’ in tutte le istituzioni rispetto a chi aveva oltre 35 anni.