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economia

Più di 3 morti al giorno da infortuni sul lavoro. I numeri dell’Inail

Dopo un paio di anni aumento, per la prima volta nel 2018 gli infortuni sul lavoro sono tornati a calare leggermente. Secondo gli ultimi dati raccolti dall’Inail (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), infatti, le denunce di infortunio sono state circa 1.800 in meno rispetto al 2017, su un totale di 645mila casi.

Dal 2015 in poi tuttavia gli incidenti sul lavoro erano aumentati, e il miglioramento non riesce comunque a riportare i risultati sotto il minimo registrato appunto quell’anno – comunque molto in calo rispetto agli oltre 660mila infortuni registrati invece nel 2014.

Come ricorda il rapporto annuale dell’istituto, ad ogni modo, la situazione reale del 2018 è probabilmente un po’ migliore di quanto suggeriscono i numeri bruti, in quanto proprio nell’ultimo periodo sono state incluse una serie di comunicazioni di infortunio che in passato non comparivano invece nella stessa serie storica.

“La lieve diminuzione”, si legge infatti, “dovrebbe risultare di fatto più accentuata se non si considerassero (per omogeneità) le «comunicazioni obbligatorie», il cui obbligo è intervenuto dal mese di ottobre 2017”.

 

Gli infortuni che hanno portato alla morte, per parte loro, sono stati 1.218 nel 2018, in aumento del 6% rispetto all’anno precedente, di cui poco meno del 60% sono avvenuti sul posto di lavoro e i rimanenti fuori dall’azienda, con un piccolo numero di casi (35) ancora in accertamento.

In aumento anche le denunce di malattia professionale, avvenute in 59.600 casi, in salita del 2,6% rispetto al 2017 e per le quali la causa professionale è stata riconosciuta poco più di una volta ogni tre. I lavoratori con malattie legate all’amianto, ricorda il rapporto, sono stati in particolare 1.400. Fra chi ha sofferto di malattie professionali riconosciute ci sono stati 1.177 morti, questa volta in in calo del 16% sul 2017, e dei quali un numero significativo (257) per silicosi o asbestosi.

Per quanto riguarda gli infortuni di cui è noto il settore economico di attività, la manifattura (sotto varie forme) costituisce uno campi più comuni. Soltanto durante la fabbricazione di prodotti in metallo, macchinari o apparecchiature troviamo infatti oltre 30mila denunce, mentre settori altrettanto e ancora più problematici sono costruzioni (35mila denunce), commercio (38mila), trasporto e magazzinaggio (35mila), nonché la sanità (28mila).

Questi sono però i numeri assoluti di denunce, che ci aiutano a capire dove avvengono gli infortuni ma non ci dicono quali sono i settori più pericolosi. Sappiamo per esempio che nelle costruzioni lavorano circa 1,3 milioni di persone contro le 3,3 milioni del commercio, e poiché gli infortuni sono grosso modo simili non si può che dedurne che il primo settore è ben più pericoloso del secondo.

Le denunce di infortunio riguardano poi più spesso gli uomini (415mila) che le donne (230mila), ricordando comunque che dei primi lavorano due persone su tre, delle seconde appena una ogni due.

Le età più coinvolte dagli incidenti sul lavoro sono in qualche misura quelle di mezzo o leggermente avanzate, con quasi metà dei casi avvenuti fra persone dai 40 ai 59 anni. Anche in questo caso per farsi un’idea accurata bisogna considerare quanto sono frequenti lavoratrici e lavoratori di diverse età e aggiustare i totali di conseguenza. Secondo l’Istat infatti gli occupati da 15 a 24 anni sono circa un milione, contro i sette di chi ha invece da 45 a 54 anni. Poiché fra i due gruppi il numero di denunce di infortunio è stato poi non troppo diverso, il rischio per i giovani appare molto superiore che per le persone di mezza età.

Gli infortuni che hanno condotto alla morte si sono verificati più spesso sul luogo di lavoro che fuori da esso, e tuttavia in un po’ meno della metà dei casi è stato coinvolto un qualche genere di mezzo di trasporto. Che le costruzioni siano uno dei campi più pericolosi lo mostrano anche gli stessi dati dei decessi, secondo i quali questo è stato il primo settore in assoluto (146 morti) seguito da trasporto e magazzinaggio (122). Le attività manifatturiere nel loro complesso, d’altra parte, hanno portato a 112 morti.

I dati delle morti del lavoro mostrano con molta chiarezza anche l’estrema esposizione al rischio dei lavoratori stranieri, coinvolti in circa il 18% dei decessi. Tenuto a mente che a lavorare con cittadinanza non italiana sono due milioni e mezzo di persone, contro le 20,7 milioni di “native”, l’incidenza delle morti per chi non è nato nel nostro Paese appare elevatissima. Questo riflette il fatto che tali persone tendono a essere occupate più spesso in settori dal rischio maggiore – come appunto le costruzioni – a differenza di chi è nato in Italia che invece è impiegato con maggior frequenza in posti meno delicati dal punto di vista della sicurezza.

La diversa distribuzione dei posti di lavoro fra i vari settori emerge anche guardando alla differenza di morti sul lavoro fra uomini e donne, con questi ultimi che rappresentano il 90% dei decessi. Anche in questo caso, infatti, la differenza è in qualche misura dovuta alla maggior presenza degli uomini in occupazioni più a rischio.

Se per i giovani (da 15 a 24 anni) gli incidenti sul lavoro sono più frequenti che per le persone di mezza età (da 45 a 54 anni), la differenza quanto a morti sul lavoro tende invece a ridursi. Certamente come numeri complessivi per questi ultimi troviamo valori maggiori – 332 in totale contro i 63 decessi di 15-24enni –, ma di nuovo data la differenza quanto a numero di lavoratori emerge che comunque il rischio per i giovani è maggiore sebbene non con la stessa intensità degli infortuni.

Fra gli infortuni mortali e quelli senza conseguenze ci sono, s’intende, numerose situazioni intermedie. I secondi rappresentano fortunatamente la situazione più comune, ma comunque fra i casi accertati positivi circa il 15% ha portato le persone a conseguenze più gravi e di lungo termine. Fra i 61mila infortuni che hanno portato a un qualche genere di menomazione, quelle più leggere hanno rappresentato oltre il 90% del totale – ma anche così restano comunque almeno centinaia di casi che non hanno magari portato alla morte ma comunque a lesioni permanenti e ben gravi.

Come anticipato, rispetto ai due anni precedenti nel 2018 è aumentato il numero di morti sul lavoro, ma allo stesso tempo sono diminuiti in maniera significativa gli infortuni accertati che hanno portato a conseguenze di lungo termine – circa 15mila in meno in confronto al biennio passato con in particolare un calo delle menomazioni di natura più seria.

Oltre agli incidenti, l’Inail ha raccolto informazioni anche sulle malattie professionali – di cui solo nel 2018 sono stati denunciati un filo meno di 60mila casi, in leggera crescita rispetto al 2017. Quasi due terzi di esse, ricorda l’appendice statistica redatta dall’Istituto, ha riguardato malattie del sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo, un altro 12% circa malattie del sistema nervoso. I tumori sono stati il 4% del totale. Poiché si tratta di situazioni più a lungo termine rispetto ai singoli infortuni, le malattie professionali non tendono a colpire in maniera altrettanto sproporzionata le persone di origine straniera – in genere più giovani, in Italia da meno tempo o una combinazione delle due cose. In questo infatti gli italiani rappresentano oltre il 90% dei casi denunciati, con un peso maggiore degli uomini (41mila casi) rispetto alle donne (15mila casi).

Le morti dovute a malattie professionali riconosciute sono in deciso calo. Nello stesso periodo sono diminuite anche le malattie professionali riconosciute che hanno portato a un qualche genere di menomazione permanente, con invece una crescita di quelle senza particolari effetti a lungo termine – comunque ben più rare.

Una parte significativa delle morti dovute a malattie professionali si deve all’amianto. Sono stati un’ampia fetta del totale dei decessi, e tuttavia in miglioramento rispetto a cinque anni prima. Più stabile invece il gruppo di coloro che hanno sofferto menomazioni permanenti a causa di questo genere di fibra, certo in lieve calo ma comunque sempre intorno a valori non troppo diversi da quelli del 2014.

Ma chi sono queste persone? Per quanto riguarda i decessi si trovano soprattutto nel nord-ovest, che da solo ha contato per i 40% circa di tutte le morti, con un po’ più della metà dei casi riconosciuti al settentrione. In generale, comunque, le regioni più interessante nel 2018 in numeri assoluti, e quindi senza considerare che la loro popolazione è differente, sono state Lombardia (150 persone), Friuli-Venezia Giulia (155 persone), Toscana (152) ma soprattutto Campania (254) che da sola è valsa buona parte dell’intero sud. In questo caso parliamo non di decessi, ma tutti coloro cui è stata riconosciuta una malattia professionale legata all’amianto.

Poiché la fibra è stata ormai vietata da anni, questo genere di problemi coinvolge soprattutto lavoratori e lavoratrici di una certa età, e infatti la persona più giovane cui è stata riconosciuta una malattia professionale del tipo silicosi-asbestosi aveva almeno cinquant’anni nel 2018. Al di là dell’amianto comunque le malattie professionali hanno un corso più lungo, com’è evidente, rispetto ai singoli incidenti sul lavoro, e quindi nessuna di quelle riconosciuto ha in effetti interessato persone con meno di 40 anni.

La buona notizia è che molte di tali malattie risultano in calo, negli ultimi cinque anni, a cominciare dai tumori (passati da 1.357 casi a 989) passando poi per le malattie del sistema nervoso (da 3.609 a 3.260), dell’orecchio (da 2.285 a 1.804) e soprattutto del sistema respiratorio, diminuite molto da 1.530 a 901. Molto meno evidente invece il miglioramento per le malattie del sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo, calate di circa mille unità durante quel periodo ma che comunque restano uno dei casi più frequenti con 14.543 casi – tanto da rappresentare in effetti due malattie professionali riconosciute su tre.