Indica un intervallo di date:
  • Dal Al
economia

Quanto guadagnano gli italiani? E gli stranieri? La disuguaglianza degli stipendi ai raggi x

Sappiamo che fra persone di origine italiana e straniera esiste infatti un grande divario di retribuzione.  Il 17% del totale dei dipendenti viene dall’estero e guadagna il 14% in meno. “Il differenziale retributivo dei lavoratori nati all’estero rispetto a quelli nati in Italia – si legge ancora – è negativo e più ampio per i lavoratori nati nei paesi extra-europei (-13,2%) rispetto a quello dei lavoratori nati in paesi europei (-9,4%)”. Si tratta di lavoratori “più concentrati in imprese che hanno la sede nel nord-est (30,4% rispetto al 22,6% degli italiani) e nel nord-ovest (34,0% rispetto al 30,8% dei nati in Italia); nelle imprese medio-piccole (fino a 49 dipendenti) e nei settori attività di servizi di alloggio e ristorazione, e di noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese”.

Nonostante godano di buona fama, le piccole e medie imprese sono anche quelle che di solito offrono ai propri lavoratori le retribuzioni peggiori. La paga infatti tende a crescere di pari passo con la dimensione dell’azienda, tanto che proprio quelle grandi (con 250 addetti o più) offrono in effetti le retribuzioni più generose: superiori del 27% per esempio rispetto alle micro-imprese con meno di dieci dipendenti.

Spiega poi Istat che “le tipologie di lavoro più diffuse, ovvero i contratti a tempo indeterminato (pari al 65,5% dei rapporti totali) e i contratti a tempo pieno (pari al 68,3% dei rapporti totali) presentano una retribuzione oraria più alta rispetto alle altre tipologie. In particolare, la retribuzione oraria mediana dei lavoratori con contratto full-time (11,98 euro) è del 19% superiore a quella dei part-time, mentre per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato il differenziale retributivo è più alto del 17,4% rispetto a quelli a tempo determinato. A livello di qualifica contrattuale nel 2017 gli impiegati e i dirigenti percepiscono una retribuzione oraria mediana pari a 14,04 euro ovvero il 65,4% in più rispetto agli apprendisti; per gli operai, che rappresentano il 62% circa delle posizioni lavorative totali, lo stesso differenziale è pari al 23,7%”.

Per tutti questi diversi gruppi, l’istituto di statistica ha anche calcolato alcuni indicatori per capire quali sono gli ambiti dove esiste maggiore uguaglianza e quelli dove invece le paghe sono più eterogenee. Possiamo infatti calcolare il rapporto fra quanto vale il 10% maggiore delle retribuzioni e il 10% minore, e trovare così che per gli italiani in generale le prime valgono circa due volte e mezzo le secondo: ovvero che per ogni euro guadagnato dai lavoratori più poveri i più ricchi ne guadagnano per la precisione 2,6.

Di solito, comunque, “la maggiore variabilità interna si registra in tutte le categorie con retribuzioni orarie più alte”, tanto che “tra i dirigenti/impiegati, i laureati, gli over 50, le posizioni occupate al Nord-ovest e quelle occupate nelle grandi imprese, le retribuzioni delle posizioni del nono decile [il 10% più ricco] sono superiori di circa 3 volte rispetto a quelle del primo decile [il 10% più povero]”.

Al contrario, esiste maggiore uniformità per i gruppi con retribuzioni orarie più basse: “in questa casistica rientrano i rapporti di lavoro a tempo determinato, quelli con qualifica di apprendista, di operaio, con regime orario a tempo parziale, che coinvolgono i giovani, le posizioni lavorative di lavoratori nati all’estero oppure occupate nelle micro-imprese” – casi in cui anche il 10% meglio messo dei lavoratori non supera il doppio rispetto al 10% meno retribuito.

La disuguaglianza diventa invece più elevata confrontando i diversi settori produttivi. In campi come “estrazione di minerali da cave e miniere”, “servizi di informazione e comunicazione” nonché nelle attività finanziarie e assicurative il 10% più ricco ha una paga che è valsa oltre il triplo del 10% più povero. D’altra parte nelle costruzioni, in sanità, o nel campo di alloggi e ristorazione c’è maggiore uguaglianza, tanto che non si arriva neppure a valori doppi.

Nelle posizioni lavorative occupate dalle persone nate all’estero”, continuano gli autori, “la variabilità retributiva interna è più bassa di quella delle posizioni occupate da lavoratori nati in Italia. La differenza rispetto ai nati in Italia è più marcata con riferimento al livello retributivo del nono decile, ossia alla retribuzione percepita dal 10% delle posizioni lavorative con retribuzione oraria più elevata. A fronte di 21,93 euro orarie percepite dai nati in Italia, il nono decile fa registrare 15,08 euro per i nati fuori dall’Italia con un differenziale negativo pari al -31% circa. Il 10% delle posizioni occupate da lavoratori nati fuori dall’Italia con retribuzione più bassa (primo decile), invece, hanno una retribuzione oraria fino a euro 7,56 (e gli italiani fino a 8,17 con un differenziale pari al -7,5%)”.

Rispetto a un nativo, per un lavoratore che arriva dall’estero è ben più probabile concentrarsi nella qualifica di operaio (85% contro il 57% di chi è nato in Italia), spesso con anzianità di servizio e anagrafica minore. Si tratta poi più di frequente di uomini che di donne, sempre rispetto agli italiani “nativi”, con un livello minore di istruzione e in più una maggiore incidenza dei contratti a tempo determinato.

Il comunicato fa anche luce sulla situazione di chi fino a qualche anno fa lavorava utilizzando i “voucher”, buoni lavori aboliti poi nel 2017. Anche in seguito alla loro abrogazione, si legge, “il numero di posizioni lavorative interessate dal contratto di lavoro a chiamata passa da 413,6 mila (con 336,6 mila individui diversi coinvolti) nel 2014 a 673 mila (con 520,2 mila individui) nel 2017 e continua ad aumentare anche nel 2018 seppure a tassi decrescenti”. Parliamo di persone che per legge non possono operare per più di 400 ore nell’arco di tre anni, dunque a bassa intensità di lavoro, e che in più hanno una retribuzione oraria mediana inferiore del 9% rispetto a chi una contratto differente“.

Cresce molto infine il ricorso al part time, che conta per il 32% di tutte le posizioni lavorative nel 2017. Questo gruppo di persone tende ad avere paghe minori rispetto ai lavoratori a tempo pieno, me per loro quanto meno negli ultimi anni le retribuzioni sono aumentate in maniera più decisa anche se comunque in maniera debole in termini assoluti.

Per approfondire: la prima puntata sulle retribuzioni degli italiani