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cronaca

Antibiotico resistenza in Europa: tutto quello che c’è da sapere

 

Nel complesso per la maggior parte delle combinazioni di gruppi batterici-antimicrobici, le variazioni nelle percentuali di resistenza tra il 2015 e il 2018 sono state moderate e la resistenza è rimasta ai livelli elevati precedentemente riportati, con qualche allarmante eccezione che riguarda anche l’Italia.

Come negli ultimi anni, anche nel 2018 la situazione della resistenza antimicrobica in Europa presenta ampie variazioni, a seconda delle specie batteriche, del gruppo antimicrobico e della regione geografica. Per diverse combinazioni di gruppi batterici specie antimicrobiche, è evidente un gradiente da nord a sud e da ovest a est. In generale, percentuali di resistenza inferiori sono state segnalate dai paesi del nord, mentre percentuali più elevate sono state riportate nel sud e nell’est dell’Europa. Tra il 2015 e il 2018, ci sono state piccole ma significative tendenze decrescenti nelle percentuali medie ponderate sulla popolazione europea per la resistenza all’aminopenicillina, la resistenza agli aminoglicosidi e la resistenza ai carbapenemi, mentre le tendenze della resistenza ai fluorochinoloni e alle cefalosporine di terza generazione sono aumentate significativamente nello stesso periodo.

Nel 2018, più della metà (58%) degli isolati di Escherichia coli segnalati alla rete EARS-Net dell’ECDC sono risultati resistenti ad almeno un gruppo antimicrobico sotto sorveglianza regolare (ovvero aminopenicilline, fluorochinoloni, cefalosporine di terza generazione, aminoglicosidi e carbapenemi), ed è frequente la resistenza combinata a diversi gruppi antimicrobici. L’Italia in particolare è al quinto posto in Europa dopo Bulgaria, Cipro, Ungheria e Slovacchia per percentuale di ceppi di E.coli resistenti a una combinazione di farmaci.

Nel 2018 è stata segnalata la più alta percentuale di resistenza dell’E.coli alle aminopenicilline (57,4%), seguita dalla resistenza ai fluoroquinoloni (25,3%), alle cefalosporine di terza generazione (15,1%) e agli aminoglicosidi (11,1%). La resistenza ai carbapenemi è  invece rimasta rara per l’ E. coli. L’Italia si colloca in pessima posizione, con una delle quattro percentuali più elevate di resistenza alle aminopenicilline (oltre il 66% dei cappi).

Più di un terzo degli isolati di Klebsiella pneumoniae erano resistenti ad almeno un gruppo antimicrobico sotto sorveglianza regolare. Diversi paesi hanno riportato percentuali di resistenza ai carbapenemi superiori al 10% per K. Pneumoniae, e l’Italia presenta il terzo valore più elevato d’Europa. La resistenza ai carbapenemi è risultata comune anche nelle specie Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter.

Si osserva che per tutti e quattro questi batteri, i paesi che hanno riportato le percentuali di resistenza ai carbapenemi più elevati sono i medesimi paesi che hanno riportato le percentuali di resistenza più elevate anche per gli altri gruppi antimicrobici.

Ci sono due “buone notizie”. Per quanto riguarda lo Streptococcus pneumoniae, la situazione di resistenza sembrava stabile, ma con grandi variazioni tra paesi, mentre per lo Staphylococcus aureus, il calo della percentuale di isolati resistenti alla meticillina riportato negli anni precedenti è continuato anche nel 2018.

Al contrario, uno sviluppo particolarmente preoccupante negli ultimi tre anni è stato segnalato per Enterococcus faecium resistente alla vancomicina, con un aumento della percentuale media ponderata per la popolazione europea dal 10,5% nel 2015 al 17,3% nel 2018.

Gli elevati livelli di resistenza antimicrobica per diverse importanti specie batteriche nel 2018 mostrano che la resistenza antimicrobica rimane ancora un’enorme sfida per l’Europa. “È chiaro – concludono gli esperti dell’ ECDC – che le attuali azioni di sanità pubblica non sono sufficienti per affrontare la situazione attuale di resistenza antimicrobica”.