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Perché sei aziende su dieci non finanzia la politica? Scopri il Business Index on Transparency

 

Su 100 grandi aziende analizzate, 89 pubblicano poco o nulla sulle loro pratiche di lobbying verso i decisori pubblici. I numeri presentati oggi dall’associazione di Transparency International Italia non promettono nulla di buono: 78 aziende su 100 hanno un livello di trasparenza insufficiente o scarso. La seconda edizione del Business Index on Transparency analizza il livello di trasparenza delle più grandi aziende italiane sui temi legati all’anticorruzione e all’integrità non ha trovato nessuna Nessuno si classifica nella categoria più alta (A), indice di una scarsa attenzione a questi temi e ai vantaggi reputazionali che la divulgazione di certe informazioni potrebbe fornire alle aziende. Solo 3 aziende hanno un buon livello di trasparenza rientrando nella categoria B: Mediobanca, Pirelli e Terna. “Sappiamo che in Italia la normativa su questi temi è assente, nonostante gli innumerevoli tentativi per introdurre maggiore trasparenza anche nel nostro Paese nei rapporti tra privati e politica. Per questo non potevamo aspettarci grandi risultati dal BIT2019 – ha dichiarato Virginio Carnevali, Presidente di Transparency International Italia – Tuttavia, stiamo parlando delle più importanti aziende multinazionali italiane che spesso hanno dimostrato di impegnarsi ben oltre quanto richiesto dalla legge nazionale. Sanno infatti che la trasparenza è una chiave del successo e soprattutto su certi temi il vantaggio competitivo è rilevante, sul piano nazionale, ma soprattutto su quello internazionale. Quello che cerchiamo di fare con le aziende del nostro Business Integrity Forum, in attesa che il legislatore faccia il proprio dovere, è infatti di innovare e stimolarle ad adottare policy e pratiche anticorruzione all’avanguardia che possano essere di esempio per tutte le aziende del Paese”.

Quest’anno, si legge nella nota, sono stati prese in considerazione 100 grandi aziende e il loro impegno nel fornire informazioni sui rapporti con la politica, in particolare sul finanziamento di questa, sulle attività di lobbying e sulla gestione dei casi di revolving door, mette in evidenza quanto poco si sappia del rapporto privato-pubblico. Quanto al finanziamento alla politica, il 60% delle aziende infatti dichiara di non elargire contributi, nonostante oggi nel nostro Paese sia ammesso il solo finanziamento privato a sostegno dell’attività politica. Ben 23 aziende si classificano nella fascia più alta di trasparenza perché non solo decidono di non finanziare i partiti, ma anche altri soggetti ad essi collegati, quali associazioni o fondazioni, vietando così non solo il finanziamento diretto, ma anche forme di finanziamento indiretto e quindi più opache.
La trasparenza sulle attività di lobbying invece risulta per la maggior parte delle aziende insoddisfacente: solo 11 aziende ottengono punteggi sufficienti classificandosi nelle categorie B e C. Nessuno ottiene punteggi alti che valgono la massima categoria.
Ancora più scarsa la trasparenza sui presidi posti in essere dalle aziende per prevenire i casi di revolving door, e quindi passaggi di incarichi dal pubblico al privato e viceversa, che potrebbero causare influenze illecite verso la politica. Le informazioni disponibili sulle policy in questo settore sono pressoché assenti sui siti aziendali e il 97% delle aziende ha ottenuto un punteggio insufficiente.
A livello complessivo, le aziende del settore energetico (9 su 100) sono quelle che hanno ottenuto, i risultati migliori, mentre quelle del settore della distribuzione hanno ottenuto i risultati più bassi. Le società partecipate dallo Stato o dagli enti locali hanno dimostrato di porre maggiore attenzione a questi temi, probabilmente per gli obblighi di legge che derivano dalla legge anticorruzione a cui sono sottoposte.