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cronaca

La stagione influenzale è più aggressiva. Cosa dobbiamo aspettarci

Più aggressiva degli scorsi anni e con minaccia di complicanze anche per persone sane, l’influenza è arrivata in anticipo in Italia con il primo caso grave all’Ospedale di Udine. Dove a settembre, un uomo di 50 anni, senza altre patologie, è stato colpito da una forma grave e a causa delle conseguenze batteriche è stato intubato e ha dovuto affrontare una degenza di oltre 20 giorni. La Società italiana di terapia antinfettiva (Sita) ha reso noto il caso e ribadisce l’importanza della vaccinazione antinfluenzale universale. A richiamare l’attenzione degli infettivologi, insieme alla precocità, anche le caratteristiche del paziente: una persona di 50 anni perfettamente sana e senza alcun tipo di comorbidità, che non rientra quindi tra le categorie ritenute a rischio.

L’anno scorso, scrive Cristina Da Rold,  la stagione si è conclusa in linea sostanzialmente con quanto atteso. Da ottobre 2018 ad aprile 2019 sono stati segnalati ai vari sistemi di sorveglianza dell’influenza (casi gravi, Sismg, InfluWeb, InfluNet-Epi, InfluNet-Vir) 809 casi gravi provenienti da 19 regioni italiane di cui 8 in donne in stato di gravidanza. Una su quattro di queste persone (198 casi) purtroppo non ce l’ha fatta. Si tratta di casi di influenza confermata in soggetti con diagnosi di Sari (Severe Acute Respiratory Infection-gravi infezioni respiratorie acute) e/o Ards (Acute respiratory distress syndrome-sindromi da distress respiratorio acuto) ricoverati in terapia intensiva. Tre quarti di essi – 601 casi – hanno richiesto intubazione in terapia intensiva.

La maggior parte dei casi e dei decessi, oltre 8 su 10, hanno riguardato persone con più di 50 anni, con un’età mediana di 68 anni. Tuttavia, ben 163 sono stati i casi in persone con meno di 50 anni che hanno richiesto un ricovero in terapia intensiva. Fra di loro 20 bambini con meno di 5 anni e 8 fra i 5 e i 14 anni.

L’influenza ha avuto gli esiti peggiori in persone con una salute già compromessa: l’84% dei casi gravi e l’89% dei deceduti aveva almeno una condizione di rischio preesistente come diabete, tumori, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, obesità). E soprattutto l’80% dei casi gravi non era vaccinato.

<strong>Il principale responsabile dei casi più gravi (522 casi pari al 69% del totale) è stato il virus A/H1N1pdm09, in 107 casi (il 14%) è stato isolato il virus A(H3N2) In 132 (il 17%) il virus A/non sottotipizzato. In un solo caso è stato isolato il virus di tipo B.

<strong>In generale al sud (compreso anche il Lazio) si sono registrati molti meno casi gravi e decessi rispetto al nord: 164 casi e morti nel meridione e 399 casi gravi e 142 decessi al Nord. La Lombardia è stata la regione in assoluto più colpita, con 138 casi gravi, anche se la proporzione con i decessi è fra le più basse d’Italia. Le regioni con la percentuale maggiore di esiti fatali sono il Friuli Venezia Giulia (10 casi gravi tutti deceduti), l’Emilia Romagna (tre quarti dei casi gravi deceduti nel corso della stagione) e la Calabria (oltre la metà di casi deceduti). Particolarmente positivo il caso della Puglia, con appena 5 decessi a fronte di 46 casi gravi di influenza.

Ma se gli esiti peggiori hanno riguardato prevalentemente persone anziane e con una salute già parzialmente compromessa, in generale l’influenza ha colpito maggiormente le età pediatriche, in linea con quanto registrato negli ultimi anni. Come riferisce un commento Antonino Bella dell’Istituto Superiore di Sanità, l’incidenza per i bambini sotto i cinque anni ha superato quella della stagione 2017-18.

Dall’inizio della sorveglianza sono stati stimati 4.780.000 casi di sindrome influenzale in tutto il Paese, riguardando tutte le Regioni italiane, ma in modo particolare quelle del Centro e Sud, anche se come mostrano i dati sopra citati, i casi gravi sono stati molti di meno in quest’area. Inoltre quest’anno l’andamento dell’epidemia è tornato alla tempistica usuale, con un picco tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, dopo due stagioni in cui avevano assistito a un anticipo del picco epidemico di circa quattro settimane. Con circa 14 casi per mille assistiti registrati, l’incidenza ha raggiunto il picco epidemico nella quarta e quinta settimana del 2019 (21 gennaio-3 febbraio 2019).