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cronaca

Parità di genere: il tempo che divide maschi e femmine (in Italia)

 

L’Italia è fra le nazioni che fanno peggio quanto a parità di genere nei tempi di lavoro – retribuito e non. Detta in altri termini, nel nostro paese le donne tendono a spendere il proprio tempo in attività pagate o domestiche molto, molto più degli uomini. Per la precisione, secondo l’ultimo rapporto  Istat sull’argomento, in media un’ora e dieci minuti in più al giorno, tutti i giorni.

Questa differenza fra uomini e donne, ricorda ancora l’istituto di statistica, “è trasversale a tutte le caratteristiche individuali e familiari considerate” e porta l’Italia “al terzo posto in Europa nella graduatoria dei Paesi per differenza di genere nei tempi di lavoro, dopo la Grecia e la Romania, con valori molti vicini alla Spagna, la Serbia e i paesi dell’Est, ben distante dalla parità raggiunta nei paesi del Nord Europa”.

A spiegare questo divario non esiste forse una sola ragione, ma più probabilmente diverse. Già soltanto guardando ai “fondamentali culturali” degli italiani e delle italiane, comunque, emerge una gran diffusione di stereotipi sui ruoli di genere secondo cui gli uomini dovrebbero essere tenuti a fare alcune cose e non altre, e così le donne.

Per esempio, ricorda il rapporto, il 54% degli uomini si dice molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione che “per la famiglia è meglio che l’uomo si dedichi prevalentemente alle necessità economiche e la donna alla cura della casa”; grosso modo quanti ritengono anche che gli uomini non siano in grado di svolgere bene lavori domestici quanto le donne. Uno su tre, d’altra parte, non crede sia giusto dividere in maniera equa i lavori domestici fra partner anche se entrambi lavorano a tempo pieno.

Ancora quasi un maschio su quattro dice che, se il figlio si ammala ed entrambi i genitori sono occupati, non è giusto fare i turni per assisterlo; mentre più del 40% di loro pensa che il padre sia meno capace della madre nel prendersi cura dei figli piccoli.

Un altro elemento importante è che “la diffusione di tali opinioni sui ruoli di uomini e donne raggiunge livelli solo di poco inferiori tra le donne per tutti gli indicatori, tranne quello relativo alla scarsa fiducia nelle capacità maschili di svolgere attività domestiche su cui le opinioni delle donne sono addirittura peggiori rispetto all’autovalutazione maschile: quasi sei donne su dieci ritengono gli uomini meno capaci di svolgerle (58,8%), atteggiamento che in qualche modo giustifica un corto circuito fatto solo in parte di mancata presa in carico da parte degli uomini, ma anche di mancata delega che a sua volta non consente l’acquisizione di queste competenze”.

D’altra parte “ben il 46,6% delle donne giudica positivamente il modello tradizionale di
famiglia in cui l’uomo lavora e la donna si occupa della casa, il 25,3% non crede sia giusto dividere equamente i lavori domestici tra i partner anche se entrambi lavorano a tempo pieno, il 20,6% pensa non sia giusto condividere tra due genitori occupati l’onere di assistere un figlio malato, il 44% pensa che il padre sia meno capace della madre nel prendersi cura dei figli piccoli”.

Sono dati che confermano, concludono le autrici e gli autori, “quanto sia ancora ampio il consenso verso una visione molto tradizionalista dei ruoli di genere, con ruoli che vengono socializzati di generazione in generazione e che vengono introiettati anche dalle donne”.

Che questa visione dei ruoli di donne e uomini sia molto diffusa non significa però che sia identica ovunque. Alcune caratteristiche individuali la rendono più comune o più rara. Quest’ultimo, per esempio, è il caso dell’area geografica in cui si vive.

La quota di uomini e donne contrari ad una visione tradizionalista e stereotipata dei ruoli in famiglia cresce procedendo verso Nord”, infatti, dove “resta ancora alta la quota di donne che ritiene gli uomini meno capaci nelle faccende domestiche (52,9%), ma in ogni caso molto meno del 66,8% che si registra tra le donne del Mezzogiorno”.

Ha un impatto ancora maggiore il livello d’istruzione, al crescere del quale i favorevoli al modello tradizionale calano parecchio: scendono in effetti “al 38,7% degli uomini e al 25,8% delle donne”.

Anche la generazione di appartenenza conta. In generale tra i più giovani più della metà di donne e uomini si dichiara “poco o per niente d’accordo con la suddivisione di ruoli del modello tradizionale”, atteggiamento che invece si rovescia per gli over 65.