Indica un intervallo di date:
  • Dal Al
economia

2018: inquinamento, alluvioni e meteo. L’anno dei disastri

Il 5 giugno è stata celebrata la giornata mondiale dell’ambiente. Quest’anno il focus si è concentrato sull’inquinamento. Il 2018 non è stato un anno fortunato. Disastri, frane, inquinamento hanno occupato la cronaca del 2018. Come Info Data ci siamo occupati di mappare le zone a rischio, a rilanciare i dati sull’inquinamento per aggiungere ancora una volta, come se non ci fosse bisogno, come le (non) scelte di politica ambientale stanno diventato un pezzo sempre più grande (e ormai ineludibile) delle emergenze nazionali. Partiamo dallo smog e quindi dalla pianura padana, come scrive Riccardo Saporiti.

È qui, secondo i dati del Rapporto sulla Qualità dell’ambiente urbano di Ispra, che si concentrano le città che nel 2017 hanno registrato una violazione dei limiti di concentrazione di polveri sottili. Norme che consentono un massimo di 35 giorni con concentrazioni superiori ai 50 microgrammi per metro cubo.

 

Dati che purtroppo non stupiscono: da tempo si parla della pianura padana come di una delle aree più inquinate d’Europa. A stupire sono semmai le eccezioni. Ovvero realtà del centro Sud che hanno violato questo limite. Come Frosinone, che nel 2017 è arrivata addirittura a 93 giorni con concentrazioni superiori ai 50 μg/m3. Ancora, Terni con 43. E, in Campania, Caserta con 53, Avellino con 49 e Napoli con 43.

Infodata ha rappresentato la situazione su questa mappa:

 

 

Ogni punto della mappa rappresenta una delle città monitorate da Ispra attraverso le centraline delle agenzie regionali per l’ambiente. Il dato di Milano fa riferimento all’intero hinterland, Monza compresa. Più un punto è grande, maggiore è la concentrazione media giornaliera delle polveri sottili. Quelli colorati di arancione rappresentano le realtà nelle quali è stato superato il limite di 35 giorni con concentrazioni superiori ai 50 μg/m3.

 

Come si vede dalla mappa, quello dello sforamento dei limiti di legge è un problema che riguarda soprattutto la fascia della pianura padana. Il record  negativo spetta a Torino, che nel 2017 ha visto ben 118 giorni con concentrazioni superiori ai 50 microgrammi per metro cubo. Significa che un giorno ogni tre l’aria respirata dai torinesi era di qualità pessima. La prima città del centro Sud in questa non certo onorevole classifica è Frosinone, dove i giorni di sforamento sono stati 93. Quasi il triplo di quelli consentiti per legge, col risultato che l’aria frusinate è stata pessima un giorno ogni quattro.

 

Il fatto è che ci sono realtà nelle quali basta mezza brutta stagione per sforare i limiti. Ispra ha reso disponibili anche i dati relativi al periodo compreso tra gennaio e settembre di quest’anno. Numeri che comprendono cioè solo l’inverno e non l’autunno, stagione sì meno fredda ma durante la quale i riscaldamenti sono comunque accesi. E il risultato è questo:

 

 

In questo caso, sia le dimensioni che il colore dei punti fanno riferimento al numero di giornate con valori di concentrazione superiori ai 50 μg/m3. Come si può vedere, ci sono alcuni centri nei quali il limite dei 35 giorni è già stato superato. Eclatante il caso di Brescia, che ha già visto lo sforamento di questo valore per ben 60 giorni.

 

A Torino è già successo per ben 49 giorni, intorno a Milano per 43, a Padova per 41, a Lodi per 40. Tutte città che si sono presentate al 15 ottobre, data in cui in pianura è possibile accendere i caloriferi, senza più alcun bonus. Ovviamente, questo non ha impedito le emissioni di nuovo particolato, col risultato che una situazione già di per sé negativa non ha fatto che peggiorare.

 

E non è tutto. Già, perché oltre ai Pm10 ci sono polveri ancora più sottili. Si tratta dei Pm2,5, ancora più pericolosi perché hanno dimensioni tali da consentire loro di entrare negli alveoli polmonari. In questa mappa sono rappresentati i valori delle concentrazioni medie annue di questo inquinante:

 

 

Anche in questo caso, dimensioni dei punti e colore rappresentano la concentrazione media annua dei Pm2,5. I dati, che fanno riferimento all’intero 2017, assegnano il tutt’altro che invidiabile primato a Padova, dove la concentrazione media annua è stata di 34 μg/m3. Subito dietro Torino con 33 e Cremona con 31. Decisamente meglio Sassari, dove la concentrazione dei Pm2,5 non è andata oltre i 6 μg/m3. Del resto, anche queste polveri rappresentano una problematica soprattutto in val padana. Con buona21 pace della nebbia e della salute dei cittadini
Gli effetti più immediati dell’inquinamento? Le morti premature attribuibili alla presenza di particolato. Secondo l’Agenzia ambientale europea nel solo 2015 sono più di 60mila gli italiani che hanno perso la vita per malattie legate alla cattivà qualità dell’area che respiravano.

In termini assoluti siamo secondi solo alla Germania. Normalizzando il dato rispetto alla popolazione, si tratta dello 0,1% dei cittadini italiani. Percentuale che ci pone al sesto posto dietro Bulgaria, Ungheria, Romania, Polonia e Grecia. Esclusa quest’ultima, sono tutti Paesi del vecchio Patto di Varsavia. Più in generale, non esattamente le economie più floride del continente. E appunto se si guarda alla presenza di inquinanti, censita nel rapporto Air quality in Europe, si vede come la situazione in Italia sia tra le peggiori a livello europeo.

[

Foto 1]

All’inquinamento che purtroppo è una costante sopratutto in alcune aree dell’Italia, si aggiunga il fatto che il 2018 è stato un anno di disastri naturali. Per raccontarli siamo andati a vedere i dati relativi al suolo, ai dissesti idrogeologici a quello che è diventato in sintesi l’incubo frane.

Davide Mancino ha analizzato l’ultimo rapporto  sul rischio idrogeologico di l’ISPRA, istituto pubblico che si occupa di protezione e ricerca ambientale che ha messo a disposizione dati  che consentono di mappare con estremo dettaglio le aree a pericolo frana, e in più di capire quali sono quelle dove c’è davvero da prestare attenzione. Sono Toscana, Emilia-Romagna, Campania, Valle d’Aosta, Abruzzo, Lombardia, Sardegna e Provincia di Trento a presentare le aree più estese a intenso pericolo di frana, mentre di nuovo nella piccola regione aostana troviamo la fetta più ampia di territorio incluso nelle due classi più pericolose: oltre l’80% del totale.

Dal confronto tra il 2017 e il 2015, continua ISPRA, emerge un incremento “del 6,2% delle classi a maggiore pericolosità (elevata e molto elevata). È stata registrata una riduzione del 19,5% delle aree di attenzione, che in buona parte sono state riclassificate come aree a pericolosità. Gli incrementi più significativi della superficie classificata a pericolosità elevata e molto elevata hanno riguardato il bacino del fiume Tevere […], la regione Sardegna, il bacino dell’Arno, i bacini della Calabria, delle Marche, dell’Abruzzo, il bacino del Po in regione Lombardia, la provincia di Bolzano”.

Nello stesso periodo, d’altra parte, “sono state mappate circa 28.000 nuove aree a pericolosità e deperimetrate circa 12.000 aree”, di cui 9.500 a pericolosità elevata o molto elevata. Le variazioni “sono legate prevalentemente all’integrazione/revisione delle perimetrazioni, anche con studi di maggior dettaglio, e alla mappatura di nuovi fenomeni franosi”.

 

Un secondo fenomeno che invece descrive il progresso delle aree occupate dall’uomo con costruzioni artificiali è stato analizzato da Davide Mancino.

Nel 2017, mostrano le rilevazioni dell’ultimo rapporto ISPRA , la fetta di suolo italiano consumato è arrivata al 7,65% del territorio nazionale complessivo, in crescita di 0,02 punti percentuali rispetto al 2016. Un aumento da immaginare come un quadrato con un lato lungo 52 chilometri– circa un terzo della superficie del comune di Bologna. Abbiamo così scoperto che Lombardia e Veneto sono le regioni con il suolo più consumato.

 

Grazie alle dettagliate statistiche messe a disposizione dall’ISPRA, è possibile costruire una mappa del territorio italiano accurata al singolo comune; e guardare così quanto suolo in più – raramente in meno – è stato consumato dal 2012 in avanti

L’articolo originale lo trovate qui.
Per le stime dei danni legati alle fortissime piogge di novembre ecco le mappe realizzate in Veneto e in Sicilia. I dati però arrivano per il momento fino al 3 novembre.