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politica

Reddito di cittadinanza: riusciranno i Cpi a reggere l’impatto?

 

Essere iscritti ad un centro per l’impiego. Al momento, insieme alla disponibilità di 8 ore la settimana per svolgere lavori socialmente utili per conto del comune di residenza, è l’unica condizione per poter accedere al reddito di cittadinanza. Oltre, ovviamente, a guadagnare meno di 780 euro mensili, l’introito che il governo vuole garantire a chi riceverà questo sussidio.

 

Compito dei centri per l’impiego sarà quello di proporre delle offerte di lavoro a coloro che riceveranno il reddito di cittadinanza. Che non sarà più erogato alla terza proposta accolta con un rifiuto. Ora, se sul piano finanziario la copertura del provvedimento rientra nell’aumento del deficit proposto dall’esecutivo, rimane tutto da valutare l’impatto di questa misura sui Cpi.

 

Si tratta di comprendere, cioè, se i centri per l’impiego siano in grado di formulare delle offerte di lavoro per tutti i beneficiari di questo sussidio.

A questo scopo Infodata ha provato a calcolare quante pratiche dovranno essere gestite da ogni singolo operatore di queste strutture. Un calcolo, beninteso, svolto sulla base della situazione attuale. Al netto cioè di quella ancora non meglio definita riforma del servizio annunciata dal ministro Di Maio come corollario dell’introduzione del reddito di cittadinanza, per finanziare la quale si parla di uno stanziamento da 1 miliardo di euro.

 

Prima di spiegare come si è arrivati a determinare questa cifra, si può anticipare che a livello nazionale ogni dipendente impegnato in attività di front office dovrà trovare un’occupazione ad 892 persone. In questo percorso, il primo passo è stato quello di capire quanti siano gli operatori attivi all’interno dei centri per l’impiego. Un dato, quest’ultimo, che viene censito dal ministero del Lavoro. E che è disponibile all’interno del Monitoraggio sulla struttura e il funzionamento dei servizi per il lavoro 2017 redatto da Anpal (Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro).

 

I dati affermano che lo scorso anno erano 7.934 gli operatori impegnati nei Cpi sparsi per la Penisola. Bene specificare sin da subito che i dati non tengono conto della Provincia autonoma di Bolzano, che non li ha comunicati al ministero. Di questi quasi 8mila impiegati, però, solo l’83,5% sono impegnati in attività di front office. Ovvero ricevono il pubblico. E, banalmente, dovranno trovarsi a gestire i rapporti con i beneficiari del reddito di cittadinanza. Un’utenza destinata giocoforza ad aumentare rispetto ai volumi attuali. Basti pensare che, nell’ultima rilevazione sulle forze di lavoro, Istat afferma che nel 2017 solo il 42,5% dei disoccupati ha preso contatto con un Cpi.  Inoltre bisogna tenere in considerazione il fatto che la situazione cambia, e di molto, da una regione italiana all’altra. Ecco, nel dettaglio, come stanno le cose:

 

 

 

Le dimensioni dei punti indicano il numero di operatori dei centri per l’impiego, il colore la percentuale di quanti fanno attività di front office: più si vira verso il rosso, più ci si abbassa rispetto alla media nazionale, più ci si avvicina al blu più il valore supera quello medio.

 

Balza all’occhio la situazione siciliana. Regione che con 1.737 addetti non solo è quella con il maggior numero di impiegati al Cpi. Ma è anche quella con la più bassa percentuale di addetti che svolgono attività di front office. Sono appena il 72,4%. Giusto per dare un’idea della situazione, valga il raffronto con la Lombardia. Che ha sì il doppio degli abitanti della Sicilia, ma anche la metà  dei dipendenti dei centri per l’impiego.

 

Al netto di questo ciò che conta è che, grazie ai dati Anpal, Infodata ha potuto calcolare quanti siano gli operatori dei Cpi chiamati a gestire le persone alle quali sarà garantito il reddito di cittadinanza. Il punto, ora, è capire quanti saranno questi ultimi. E qui la situazione diventa davvero complessa, dato che non ci sono ancora indicazioni ufficiali da parte del governo. Se non le parole del ministro del Lavoro Luigi Di Maio, che ha indicato in 6 milioni di persone la platea di coloro che riceveranno questo sussidio.

 

Ora, la prima categoria di coloro che sembrano avere le caratteristiche per accedere a questo sussidio è rappresentata da quanti vivono al di sotto della soglia di povertà. Sempre secondo Istat, nel 2017 si trattava del 15,6% della popolazione. Ma, essendo gli italiani poco più di 60 milioni, gli indigenti risulterebbero essere circa 9,5 milioni. Troppi rispetto alla platea indicata dal vicepremier.

 

Viene allora in mente di prendere in considerazione i disoccupati. Secondo Istat, nel 2017 a livello nazionale si trattava di 2 milioni e 899mila persone. Più o meno la metà di quelle indicate dal vicepremier grillino. E gli altri tre milioni chi sarebbero? Possibile che si tratti degli inattivi. Ossia coloro che non hanno un’occupazione e nemmeno la cercano. Il problema è che, nella fascia di età tra i 15 ed i 64 anni, Istat ne ha censiti 13,3 milioni nel 2017. Il che porterebbe la platea potenziale a 16 milioni di persone, quasi tre volte tanto quelli indicati da Di Maio. Anche qui: non si conoscono i meccanismi di applicazione del provvedimento. In via teorica, nulla vieterebbe a questi 13,3 milioni di persone, o almeno quelli senza una fonte di reddito, di recarsi al Cpi, presentare la dichiarazione di immediata disponibilità e incassare i 780 euro mensili in attesa di ricevere e rifiutare tre offerte di lavoro. Ma, appunto, fintantoché la norma non sarà scritta, si tratta di speculazioni.

 

Continuando nell’analisi, è possibile allora ipotizzare che nella platea di beneficiari rientrino quelle che Istat definisce forze di lavoro potenziali. Ovvero individui che rientrano nella categoria degli inattivi, ma che presentano una delle due caratteristiche che definiscono un disoccupato (oltre, ovviamente, al fatto di non avere un lavoro): essere immediatamente disponibili a lavorare e aver effettuato almeno una ricerca di occupazione nel mese precedente alla rilevazione dell’istituto nazionale di statistica. Nel 2017 si trattava di poco più di 3 milioni di persone. Sommandole ai disoccupati, ci si avvicina ai 6 milioni citati più volte dal ministro del Lavoro. Se si rapportano questi sei milioni di persone, ovviamente suddividendoli su base regionale, agli operatori dei Cpi che svolgono attività di front office, il risultato che si ottiene è questo:

 

 

Le regioni rappresentate da barre che tendono all’arancione sono quelle nelle quali si supera la media italiana di 892 beneficiari di reddito di cittadinanza per operatore. La situazione più problematica si verifica in Campania, dove in pratica un residente su sei, stando alla proiezione di Infodata, avrebbe diritto ad accedere al sussidio. Questo significa che ciascun operatore di front end dei centri per l’impiego dovrebbe gestire le pratiche di 2.298 persone. Ovvero, trovare un’offerta di lavoro per ciascuno di loro. Senza dimenticare che ne serviranno tre rifiutate perché il reddito di cittadinanza smetta di essere erogato.

 

Più semplice il lavoro per gli operatori della provincia di Trento e della Valle d’Aosta, che dovranno trovare offerte di lavoro rispettivamente per 292 e 310 utenti ciascuno. Ovviamente, senza tenere conto di quanto sia più semplice o più complesso trovare offerte di lavoro nelle diverse regioni italiane. Anche sotto questo profilo, si sconta la mancanza di un testo scritto: al momento pare che la sede dell’impiego debba essere all’interno della stessa regione di residenza, ma non se ne ha certezza. Fosse così, il compito per gli operatori della Campania, regione che nel 2017 ha registrato un tasso di disoccupazione del 20,9% a testimonianza delle difficoltà del mercato del lavoro, sarebbe ancora più arduo

Ultimi commenti
  • Una lavoratrice in appalto presso i CPI |

    Alla signora Anna, così come agli altri utenti, vorrei ricordare che non esistono più le liste di collocamento da una ventina d’anni, solo quelle per i disabili come il signor Stefano. Per tutti gli altri il Centro per l’Impiego serve come supporto amministrativo e orientativo per la ricerca di lavoro, ma da quando fu liberalizzato l’accesso al mondo del lavoro nessuno al Centro Impiego deve trovare lavoro ai disoccupati!
    Finchè non sarà chiaro questo concetto fondamentale si continuerà a dire che i CPI non funzionano, ma è la premessa ad essere sbagliata. Le aziende non vengono più qui a cercare personale, se non in piccola parte.

  • Una lavoratrice in appalto presso i CPI |

    Alla signora Anna, così come agli altri utenti, vorrei ricordare che non esistono più le liste di collocamento da una ventina d’anni, solo quelle per i disabili come il signor Stefano. Per tutti gli altri il Centro per l’Impiego serve come supporto amministrativo e orientativo per la ricerca di lavoro, ma da quando fu liberalizzato l’accesso al mondo del lavoro nessuno al Centro Impiego deve trovare lavoro ai disoccupati!
    Finchè non sarà chiaro questo concetto fondamentale si continuerà a dire che i CPI non funzionano, ma è la premessa ad essere sbagliata. Le aziende non vengono più qui a cercare personale, se non in piccola parte.

  • Saraj |

    Non ci sono solo i disoccupati inattivi. Ci sono anche le persone deboli seguite dai servizi sociali a volte di difficile inserimento lavorativo, inoltre per proporre lavoro bisogna che il lavoro ci sia. Le persone che si rivolgono al Cpi spesso sono bassissimi profili di persone senza titoli, con poca conoscenza linguistica, over 50…praticamente quella fetta di persone che le agenzie per il lavoro ignora e quindi vanno al Cpi come ultima spiaggia. D’altra parte per i profili generici le aziende si rivolgono alle agenzie e non al Cpi. Vorrei sapere se ci sarà un obbligo per le aziende di avvertire i centri per l’impiego quando vogliono assumere. Io svolgo molti colloqui a disoccupati e i profili generici nel 99% dei casi non hanno nessuna intenzione di formarsi per avere più competenze. Il rischio è quello dell’assistenzialismo. Questo perché chi si da da fare e si impegna il lavoro lo trova da solo…

  • Saraj |

    Non ci sono solo i disoccupati inattivi. Ci sono anche le persone deboli seguite dai servizi sociali a volte di difficile inserimento lavorativo, inoltre per proporre lavoro bisogna che il lavoro ci sia. Le persone che si rivolgono al Cpi spesso sono bassissimi profili di persone senza titoli, con poca conoscenza linguistica, over 50…praticamente quella fetta di persone che le agenzie per il lavoro ignora e quindi vanno al Cpi come ultima spiaggia. D’altra parte per i profili generici le aziende si rivolgono alle agenzie e non al Cpi. Vorrei sapere se ci sarà un obbligo per le aziende di avvertire i centri per l’impiego quando vogliono assumere. Io svolgo molti colloqui a disoccupati e i profili generici nel 99% dei casi non hanno nessuna intenzione di formarsi per avere più competenze. Il rischio è quello dell’assistenzialismo. Questo perché chi si da da fare e si impegna il lavoro lo trova da solo…

  • Anna Rita |

    Così come sono strutturati non servono a nulla e se non riescono neppure in questo si chiudono! Inutile pagare gente che dovrebbe impegnarsi a trovare un lavoro al disoccupato ma non lo fa e continuare a pagare affitti per degli stabili.

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