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cronaca

Il 40% delle ragazze 25-29enni non studia, non lavora e non lo cerca

Quattro giovani donne italiane su dieci fra i 25 e i 29 anni sono “inattive”, cioè non studiano, non lavorano, non cercano lavoro. Sono le cosiddette NEET. Fra i ragazzi della stessa età la percentuale è del 28%, che pone questo gender gap al quinto posto fra i più alti dell’area OCSE. La percentuale di inattive si abbassa man mano che cresce il livello di istruzione: fra le laureate di questa fascia di età lo è solo il 17%. Un dato interessante è che fra i 20-24enni, cioè i ragazzi appena più giovani, la percentuale di NEET è un po più bassa, il 30%, ma comunque alta se consideriamo che la media OCSE è del 16%.

Lo mette nero su bianco l’ultimo rapporto di OCSE “Education at a Glance 2018”  , che dipinge senza mezzi termini un’Italia che dà ancora troppo poche opportunità alle donne, anzitutto a quelle che non hanno studiato, complice un contesto poco favorevole. In generale fra maschi e femmine – ma il dato è molto interessante – 8 ragazzi su 10 con genitori che non hanno il diploma, non hanno a loro volta ottenuto un diploma, mentre la media OCSE è di 3,5 su 10.

Allargando il ventaglio alle 15-29enni (dato Istat) nel 2017 il 63% di loro è inattivo, contro il 53% dei maschi. E si consideri che la scuola dell’obbligo in Italia è prevista oltre i 15 anni.
Rimanendo invece sui dati OCSE, anche come percentuale complessiva di NEET fra maschi e femmine siamo al primo posto in Europa, attualmente al livello della Grecia. Gli inattivi rappresentano il 10% dei giovani fra i 15 e i 19 anni (contro l’8% della Grecia), il 30% dei 20-24enni (sono il 34% in Grecia) e il 34% dei 25-29 enni, contro il 35% della Grecia.

Se consideriamo invece la fascia di età dai 25 ai 34 anni (più adatta per fare una comparazione fra titoli di studio rispetto alle 15-29enni) vediamo che a essere inattiva è una giovane su 3, stessa percentuale di 15 anni fa. Lo sono 7 delle ragazze italiane su 10 senza alcun titolo di studio, così come la metà di quelle con la licenza media, anche se c’è uno scarto nord sud di 20 punti percentuali: al sud le inattive sono oltre 6 su 10. Fra le diplomate a essere inattive oggi sono 3,5 su 10 e il divario geografico è importante: al sud le inattive sono il doppio rispetto al nord. Sono inattive infine anche quasi 2,5 laureate su 10, il 17% al nord e il 38% al sud, dove in genere l’offerta di lavoro qualificato è più bassa rispetto al resto d’Italia. Un dato interessante è che è al nord che le cose sono andate peggiorando di più negli ultimi 15 anni per le ragazze con basso titolo di studio: nel 2004 era inattivo il 28% delle 25-34enni, oggi il 40%. Al sud si è rimasti stabili al 60% di inattività fra le ragazze di questa fascia di età.

E rispetto agli uomini? I dati parlano chiaro: per le giovani donne dunque vale l’adagio: meno studi, meno lavori e se lavori si va allargando il gap con i coetanei uomini: il divario fra tassi occupazionali di maschi e femmine è maggiore dove si studia di meno. In altre parole, lo svantaggio si accumula nel tempo.

Siamo senza dubbio di fronte a un’Italia a più velocità: per le laureate, il gap in termini di tasso occupazionale con gli uomini è sottilissimo: nel 2017 il 65% delle 25-34enni laureate lavora, contro il 69% dei maschi. Per le giovani donne che non hanno studiato invece è tutta un’altra storia: nel 2017 solo una donna su tre che non ha un diploma lavora (fra gli uomini della stessa età lavorano due su tre) e la metà delle diplomate (contro il 73% degli uomini).
Inoltre, proprio per le donne con la crisi le cose sono andate peggiorando. Nel 2007 lavorava il 42% delle 25-34enni senza un diploma e il 64% delle diplomate e il 69% delle laureate.

A confermare una certa differenza di genere, anche nel ruolo in famiglia, quanto a inattività fra la popolazione con basso titolo di studio è infine una nota statistica  pubblicata a luglio 2018 da ANPAL, che si riferisce alla Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro Istat 2013-17. Qui i NEET – sempre fra i 15 e i 29 anni – vengono suddivisi in quattro gruppi: il gruppo di coloro che sono “in cerca di occupazione”, che rappresenta il 41% del totale dei NEET, i ragazzi “in cerca di opportunità”, il 25% del totale; gli “Indisponibili”, che rappresentano il 19% e che sono prevalentemente donne nella maggioranza dei casi con oltre 25 anni e con figli. Infine, c’è il gruppo dei “disimpegnati”, che rappresenta il 15% del totale dei NEET e anche qui si tratta per lo più di donne tendenzialmente tra 25-29 anni, ancora una volta con figli.
Non si può non chiedersi quale possa essere in prospettiva il futuro di tutte queste giovani donne che non hanno o soprattutto non cercano una propria indipendenza economica.

Ultimi commenti
  • Alma |

    In altre parole, a parità di fascia d’età e di mancanza di diploma, se sei uomo hai più del doppio di possibilità di essere impiegato proprio per il fatto di essere uomo (65% uomini contro il 30% delle donne), conseguire un basso titolo di studio al Sud non cambia le prospettive e non incoraggia visto che la percentuale è stabilmente assestata al 60% ed essere laureata premia circa meno di 6 donne su 10…
    Per quanto riguarda il divario Nord/Sud di genere, sorge spontaneo il dubbio se la ricerca includa il lavoro regolarizzato da contratto. Infine concludere affermando che “(…) soprattutto non cercano una propria indipendenza economica” è non solo sessista ma anche fuorviante. È evidente dall’analisi che il sistema attuale non premia le donne e che il carico maggiore del lavoro di cura è affidato alle donne per cui senza servizi di welfare come/dove trovare il tempo per migliorare la propria formazione e/o cercare lavoro? Non è forse l’attuale assetto socio-economico che disincentiva tale ricerca e peggio ancora il raggiungimento di tale obiettivo? Si nomina il “gender gap” per poi addossarlo come responsabilità alle stesse donne colpite da tale divario.

  • Alma |

    In altre parole, a parità di fascia d’età e di mancanza di diploma, se sei uomo hai più del doppio di possibilità di essere impiegato proprio per il fatto di essere uomo (65% uomini contro il 30% delle donne), conseguire un basso titolo di studio al Sud non cambia le prospettive e non incoraggia visto che la percentuale è stabilmente assestata al 60% ed essere laureata premia circa meno di 6 donne su 10…
    Per quanto riguarda il divario Nord/Sud di genere, sorge spontaneo il dubbio se la ricerca includa il lavoro regolarizzato da contratto. Infine concludere affermando che “(…) soprattutto non cercano una propria indipendenza economica” è non solo sessista ma anche fuorviante. È evidente dall’analisi che il sistema attuale non premia le donne e che il carico maggiore del lavoro di cura è affidato alle donne per cui senza servizi di welfare come/dove trovare il tempo per migliorare la propria formazione e/o cercare lavoro? Non è forse l’attuale assetto socio-economico che disincentiva tale ricerca e peggio ancora il raggiungimento di tale obiettivo? Si nomina il “gender gap” per poi addossarlo come responsabilità alle stesse donne colpite da tale divario.

  • ROCCO MASTROCOLA |

    Sul Decreto Dignità, SALVINI pensa di emulare Steve Jobs quando invitò i giovani di Stanford ad esse folli e affamati – Stay hungry, stay foolisch, poiché se la DIGNITA’ si esprime percorrendo la strada dei “DOVERI” descritti (e obbligati) dal comma 2 dell’Art. 4 della nostra Costituzione, la vita è molto più DIGNITOSA.

  • ROCCO MASTROCOLA |

    Sul Decreto Dignità, SALVINI pensa di emulare Steve Jobs quando invitò i giovani di Stanford ad esse folli e affamati – Stay hungry, stay foolisch, poiché se la DIGNITA’ si esprime percorrendo la strada dei “DOVERI” descritti (e obbligati) dal comma 2 dell’Art. 4 della nostra Costituzione, la vita è molto più DIGNITOSA.

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