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politica

L’emergenza migranti non è più una emergenza. Il caso Italia

La tentazione può essere magari mettere tutto nello stesso calderone – ma parlare di immigrazione in l’Italia è impossibile senza raccontare almeno due storie del tutto diverse fra loro.

Per dare le dimensioni di chi arriva nel nostro paese sia nel tempo che rispetto alle altre nazioni del continente possiamo per esempio partire dai dati dell’Ocse, e più esattamente dell’International Migration Outlook 2018 uscito da poco.

Per quanto riguarda l’Italia, negli anni troviamo che il numero di persone cui è stato fornito un permesso di soggiorno è drasticamente calato, e in effetti risulta solo leggermente in aumento dal 2014 al 2016 poco sopra quota 250mila. Per fare un confronto, però, nel 2000 lo stesso indicatore si era fermato appena sotto il mezzo milione di persone: oggi è dunque la metà di allora.

Questo numero contiene tuttavia due tendenze opposte. Da un lato registriamo un notevole calo di coloro che vengono in Italia per ragioni di lavoro, dall’altro invece proprio dal 2014 crescono i permessi di soggiorno concessi ai richiedenti asilo. Il calo si è verificato per tutti i generi di impiego: sia permanenti che stagionali. Per parte loro, i permessi concessi per ragioni di protezione internazionale erano rimasti a lungo sotto le 50mila unità l’anno, per poi arrivare a un massimo poco sopra le 120mila nel 2016.

La somma di queste due tendenze opposte è, nel complesso, di un deciso calo nel numero totale di ingressi.

Come spiega l’OCSE sul proprio sito, questi numeri riguardano i permessi di soggiorno concessi e dunque escludono i flussi da paesi membri dell’unione europea. Se volessimo aggiungere anche questi ultimi, gli ingressi nei tardi anni 2000 sarebbero ancora più consistenti, in particolare dopo che la Romania è diventata paese membro dell’unione, e da è emigrato un gran numero di cittadini nel resto del continente – Italia inclusa.

Da allora però i flussi interni dall’Europa all’Italia si sono ridotti molto, e – sempre secondo i dati dell’OCSE – per esempio gli arrivi da parte di rumeni sono passati da un picco di circa 270mila persone nel 2007 a 45mila nel 2016.

Se questi numeri siano piccoli o grandi lo possiamo giudicare, per esempio, confrontando l’Italia con altre grandi nazioni del continente. Perché il paragone abbia senso è però necessario rapporto i numeri assoluti degli ingressi, come forniti dall’OCSE, con la popolazione complessiva di ciascun paese: flussi pure identici hanno, s’intende, importanza parecchio diversa se diretti verso la popolosa Germania oppure la più piccola Svezia – che di persone ne ospita otto volte meno.

Fatto questo semplice calcolo, possiamo cercare di capire quanto incidono i flussi migratori complessivi da un lato, quelli dei soli richiedenti asilo dall’altro.

In nessuno di questi casi l’Italia risulta fra le nazioni a maggiore densità d’immigrazione. Fra nazioni di grandezza paragonabile, soltanto la Francia ha presentato un numero di permessi di soggiorno complessivi rilasciati ogni cento abitanti inferiore al nostro, mentre in Spagna, Regno Unito e Germania hanno avuto molta più immigrazione extra-europea dell’Italia.

Quest’ultima, in particolare, ha visto flussi in ingresso anche circa cinque volte superiori rispetto al nostro paese, e solo a partire dal 2016 la marcia si è invertita pur restando ancora su valori molto elevati.

Come nel caso dell’Italia, anche in Germania una parte importante nella crescita del numero di permessi di ingressi si deve alla crisi migratoria cominciata nel 2014: tanto che nei soli due successivi ha ricevuto  oltre un milione di richieste di asilo contro le poco più di 200mila dell’Italia.

Se poi nel quadro includiamo nazioni più piccole come Austria o Svezia, il peso sopportato dall’Italia si ridimensiona ancora di più. Relativamente alle loro piccole dimensioni, in ciascuna di queste due i flussi di richiedenti asilo fino al 2016 sono risultati diverse volte superiori che nel nostro paese, sia per quanto riguarda il numero totale di ingressi che nel caso specifico di chi ha chiesto asilo politico.

Questo potrebbe spiegare anche la differenza che troviamo nel numero di sbarchi in Italia – di per sé molto elevato –, e quello di richiedenti asilo che invece appare parecchio superiore nel nord Europa. Sembra allora del tutto plausibile che molti di coloro che sono sbarcati in Italia ci siano soltanto passati, per poi dirigersi a settentrione con ogni mezzo possibile – magari per raggiungere amici o famiglia già trasferiti lì in passato.

A meno di ipotizzare una qualche forma di teletrasporto verso nord, questo spiegherebbe perché nonostante tutto la maggior parte del peso dell’accoglienza di lungo termine non è affatto ricaduto sull’Italia. Questo, naturalmente, nulla toglie alle operazioni di salvataggio e prima accoglienza che invece non possono che pesare su nazioni di confine come appunto l’Italia stessa.

Dopo cinque anni di aumento dovuto prima alla ripresa economica e poi alla crisi dei rifugiati, ricorda il rapporto, i flussi migratori internazionali verso i paesi OCSE sono diminuiti nel 2017. Dati preliminari indicano che le nazioni OCSE hanno ricevuto poco più di 5 milioni di nuovi immigrati permanenti nel 2017, in diminuzione del 5% rispetto al 2016”. Si tratta di un declino dovuto quasi interamente alla Germania, mentre altri “forti cali sono stati registrati in Svezia, Austria e Finlandia che nel 2016 avevano anch’essi garantito protezione internazionale a un ampio numero di rifugiati”. Secondo stime parziali, d’altra parte, “Spagna, Francia e Repubblica Ceca dovrebbero raggiungere livelli significativamente più alti nel 2017 rispetto al 2016”.

Per dare un’idea della scala, i flussi di immigrati permanenti in Germania nel 2016 l’hanno portata ad avere numeri solo di poco inferiori rispetto agli interi Stati Uniti – quattro volte più popolosi.

Quanto a rifugiati, a livello complessivo il 2016 ha visto un enorme aumento a oltre 600mila persone nei paesi OCSE. “La Germania è stata di gran lunga la destinazione principale dei rifugiati e ne ha ricevuti quasi metà del totale, seguita da Stati Uniti (17%), Svezia (8%), Canada (6%) e Austria (3%). Rispetto al 2015 il dato è rimasto stabile negli Stati Uniti, ma raddoppiato in queste ultime tre nazioni”.

I numeri più recenti relativi a sbarchi e richieste di asilo, non sempre disponibili nel rapporto ma reperibili da altre fonti, suggeriscono comunque che la fase acuta della crisi sia ormai passata. Se il resto del 2018 dovesse proseguire com’è cominciato, le richieste di asilo torneranno con tutta probabilità a livelli più vicini alla media storica.