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cronaca

Musica, nel 2030 il settore varrà 41 miliardi (erano 26,8 del 1999)

La musica è finita, gli amici se ne vanno. L’industria delle sette note non è più quella di prima della crisi, quando a livello globale arrivava a muovere 26,8 miliardi di dollari (dato del 1999). E invece no: il settore nel 2030 varrà 41 miliardi di dollari, secondo quanto profetizzato dall’ultimo report di Goldman Sachs sul settore.
Che si voglia o meno guardare il bicchiere mezzo pieno, di vero c’è che il comparto si è rimesso in movimento, con un incremento del giro d’affari del 5,9% tra il 2016 e l’anno precedente secondo i dati Ifpi, la Federazione internazionale dell’industria discografica. Un trend in crescita, quindi che ha un vincitore: lo streaming, business relativamente giovane che, un passo per volta, ha spostato il cuore del sistema dalle vecchie case discografiche alle piattaforme online. Nuovi protagonisti che ci hanno messo poco a imparare a sedersi al tavolo per dare le carte: Spotify e Apple Music da un lato, Facebook e Alphabet dall’altro.
Non a caso l’evento più atteso dell’anno a Wall Street è la quotazione di Spotify. La società svedese fondata nel 2006 daDaniel Ek lo scorso dicembre ha depositato i documenti per la quotazione diretta (Dpo) e, entro la fine del primo trimestre, dovrebbe arrivare il debutto in Borsa. Dettaglio non di poco conto: con una Dpo non ci sarebbe alcun roadshow, non ci sarebbe l’emissione di nuovi titoli, nessuna banca di investimento coinvolta e non ci sarebbero underwriter né periodi di lock-up.
Tutto ciò permetterebbe a Spotify di quotarsi spendendo poco e i suoi investitori esistenti non si vedrebbero diluire la loro partecipazione. Sarebbe il primo grande gruppo a quotarsi attraverso questa modalità, finora scelta da piccole aziende attive soprattutto nel settore biotech. Il 21 dicembre scorso il Wall Street Journal scriveva che la Sec si preparava a dare il suo via libera. Non erano però seguite conferme di alcun tipo.

Articolo sul Sole 24 Ore del 18 gennaio 2018