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cronaca

Università: gli investimenti e gli studenti senza borsa di studio

Dopo sette anni la riforma dell’Università non è ancora del tutto a regime. E in più ha falle evidenti, come le regole sul diritto allo studio (leggasi borse e servizi per gli studenti) mai scritte e che vedono ancora oggi decine di migliaia di ragazzi privati di un aiuto a cui invece avrebbero diritto perché ne hanno i requisiti. Ma ci sono altre crepe meno visibili che mostrano un “tradimento” dello spirito della riforma Gelmini varata anche con l’obiettivo di portare aria fresca nei nostri atenei, in passato troppo autoreferenziali. Tra i tantissimi dati raccolti dalla Corte dei conti nel suo primo referto presentato ieri sulla legge 240/2010 spicca ad esempio quello sulle assunzioni dei docenti universitari, con le Università poco propense ad assumere candidati esterni, privilegiando in oltre la metà dei casi quelli interni.
La riforma,che ha tentato di superare lo scandalo dei concorsi locali truccati introducendo una specie di filtro nazionale – l’abilitazione (una “patente per titoli” per diventare professore) a cui segue una selezione locale -, prevedeva, tra le altre cose, anche alcuni paletti che le Università dovevano rispettare per «consentire – ricordano i magistrati contabili – una maggiore apertura delle carriere universitarie a ricercatori che avessero maturato significativi risultati scientifici in altre istituzioni».  Ad esempio, nel 2014 e nel 2015, sono stati rispettivamente solo 86 e 203 i professori (su 2.498 e 3.569 complessivi) che hanno conquistato una cattedra come esterni nonostante la riforma prevedesse una riserva minima di almeno un quinto dei posti disponibili da assegnare a chi negli ultimi 3 anni non avesse prestato servizio nell’ateneo (con ben 17 atenei che praticamente non hanno tenuto vincolante il paletto).

Articolo sul sole 24 Ore del 24 11 2017