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economia

L’Italia perde posizioni nella sostenibilità economica dei sistemi energetici

Sappiamo che è cambiato il modo in cui l’energia viene prodotta, consumata e distribuita. Il nuovo rapporto Annual Report Energy Performance Index (EAPI), sviluppato in collaborazione con Accenture Strategy calcola un benchmark sul sistema energetico nazionale valutando le prestazioni di 127 paesi in base a 18 indicatori che coprono tre dimensioni principali: accesso all’energia e sicurezza, sostenibilità e contributo alla crescita economica.La mappa è quindi uno strumento di informazione sulle politiche energetiche adottate dai vari paesi.

 

 

 

Il nostro caso. L’Italia, con un indice di 0,70 (l’indice va da zero a uno), ha visto calare la sua posizione, con una buona performance sul fronte sicurezza e accesso energetico, una più scarsa su quello della crescita, mentre resta nella media quella sulla sostenibilità. In pratica, l’Italia è 29esima su 127 Paesi. Superiamo facilmente Usa (52esimi), Russia (48esima), ma anche Giappone (45esimo), Cina (95esima) e India (87esima). Siamo però dietro Paesi come la Francia (quinta), la Spagna (settima), la Gran Bretagna (quindicesima) e anche la Germania (diciannovesima). Al top ci sono la Svizzera, prima, poi Norvegia, Svezia e Danimarca. Se però analizziamo i parametri, scopriamo che ad alzare il numero indice sono: le importazioni (in % sul Pil) e le tasse sui carburanti lato sostenibilità economica; Le emissioni di Co2 e di polveri sottili, lato ambiente; importazione di energia in percentuale sull’utilizzo, lato accesso all’energia e sicurezza. Siamo parallelamente molto in alto in classifica sul fronte dell’utilizzo dei combustibili solidi in cucina, sul tasso di elettrificazione e sul Pil per energia (e quindi sull’efficienza di utilizzo dell’energia). Questo per dire che il vero nodo resta la dipendenza energetica.

Ultimi commenti
  • Sergio Curcio |

    Completamente d’accordo sull’analisi dettagliata e completa del sig. Maurizio Lando. In questo momento stiamo noi fornendo l’energia elettrica alla Francia. E poi, nei costi dell’energia nucleare, inseriamo i costi dello smantellamento nelll’ordine di qualche miliardo di euro. In Germania che ha decretato la messa al bando delle centrali nucleari, detti costi li vogliono accollare alla Stato, e non alle società che gestiscono le centrali nucleari ,

  • Mike |

    La Svizzera è prima, la Norvegia è seconda, la Francia è quinta… cosa hanno in comune? Centrali nucleari, energia accessibile, sicura, sostenibile e a basso costo. Ma a noi non serve, tanto oramai siamo un paese deindustrializzato, il costo dell’energia è un terzo, il rimanente due terzi sono oneri di sistema (tra cui gli incentivi alle fonti rinnovabili), accise e tasse.

  • maurizio lando |

    Si rimane davvero basiti davanti a una simile classifica. Il 90% della popolazione italiana è connessa a 2 fonti energetiche di rete: Energia elettrica e Energia chimica (gas metano). Un buon 25% ha accesso a reti di cogenerazione (cogenerazione di siti industriali, piccoli e grandi reti di teleriscaldamento e reti connesse a termovalorizzatori). Ciò per quanto riguarda l’accesso energetico. Sulla sostenibilità, che come sempre significa tutto e niente, se vista da un punto di vista del rischio ambientale la Francia è una bomba nucleare ad orologeria; loro stessi stanno tentando di mettere pezze a centrali che hanno costruito con acciaio non all’altezza della destinazione d’uso. Se vista da un punto di vista del futuro approvvigionamento, siamo collegati, o in prossima connessione, con reti di metanodotti che non comportano i problemi delle navi metaniere e dei rigasificatori. Mi fermo perché ci sarebbe da scrivere per ore sull’assurda posizione di Svizzera, Spagna, Francia e Portogallo, troppo in alto. Altrettanto assurda è la posizione della Danimarca (ha campi eolici in grado tra breve di coprire, insieme all’energia prodotta con i termovalorizzatori l’intero fabbisogno energetico per siti fissi, cioè case e industrie). Ma lo stesso vale in termini di penalizzazione per l’Italia e Germania, troppo in basso. Mi sembrano le analisi del FMI. Per il Brasile, per esempio, il FMI ha impostato un valore di crescita dell’intero Paese e poi per ogni Stato che lo compone, dal nordest al sud, ed in ogni settore, la stima prodotta è stata tradotta in identici percentuali di crescita. Cioè ogni settore ed ogni Stato avevano lo stesso identico indice di crescita, pari esattamente a quello impostato a livello di Paese.

  • Gennaro Bergantino |

    Dove c’é “gusto2 non c’é perdenza…

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