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Cresce l'Europa delle tecnologie. Italia in ultima posizione

In Europa ci sono otto milioni di persone impiegate nell’Information and communication technology: una persona su trenta lavora sui computer. Il dato è in crescita negli ultimi anni, come a dire che in attesa di capire se l’automazione “mangerà” posti di lavoro, intanto crescono quelli occupati da chi questi robot li dovrà programmare.
 
Nel settembre scorso il Cea, il team di advisor economici del presidente americano Barack Obama, pubblicò un rapporto secondo il quale l‘83% dei posti di lavoro a basso costo sono a rischio automazione. Un problema per i lavoratori, una manna per le aziende: la Commissione europea stima un incremento della produttività tra il 30 ed il 50% grazie all’industria 4.0.
 
In questo contesto si inserisce Eurostat, che ha censito gli addetti Ict nei Paesi dell’Unione. Registrando un incremento di quasi 1,5 milioni di unità tra il 2011 ed il 2015. Lo si vede osservando la parte bassa della prima pagina dell’infografica. Le due colonne di sinistra (la più chiara indica il 2011, la più scura il 2015) mostrano l’aumento in migliaia di addetti, le due di destra l’incremento in percentuale rispetto al totale della forza lavoro. Il risultato è che lo scorso anno il 3,5% dei lavoratori europei era impegnato nell’Ict, per un totale di 7 milioni e 734mila contratti di lavoro.
 

 
 
I Paesi con il maggior numero di addetti sono il Regno Unito, con 1 milione e 542mila, e la Germania, che ne conta 1 milione e 465mila. Rispetto a questi due “colossi” l’Italia arranca, visto che sono appena un terzo (in numeri assoluti 558mila) gli operatori Ict nelle aziende italiane. Un altro aspetto interessante da tenere in considerazione riguarda però la percentuale di persone che lavorano nell’informatica rispetto al totale della forza lavoro. Un modo per comprendere meglio quanto pesi l’Information and Communication Technology nell’economia di ogni singolo Paese.
 
E da questo punto di vista “trionfa” la Finlandia, dove il 6,5% dei lavoratori è un addetto Ict. Significa che una persona su quindici deve il suo stipendio ai computer. Seguono la Svezia con il 5,6%, quindi Olanda e Regno Unito con il 5%. Per un confronto d’insieme sulla situazione del 2015 è possibile affidarsi alla mappa. Il filtro in basso a sinistra permette di muoversi tra il totale degli addetti e il peso percentuale sul totale della forza lavoro.
 
Nella seconda pagina dell’infografica è possibile un raffronto tra la situazione nel settore Ict e quella nell’intero mondo del lavoro per quanto riguarda tre parametri: uno di genere, uno di età, uno relativo al titolo di studio (si può passare da uno all’altro con il filtro in alto a destra). Cominciando da quest’ultimo, Eurostat ha voluto evidenziare quanti operatori siano in possesso di un titolo di studio “terziario”, ovvero almeno universitario. Un primo dato che emerge, confrontando i due grafici, è che la quota di laureati nell’Information and Communication Technology sia in generale maggiore che nel totale del mercato del lavoro.
 
A livello europeo (il dato è rappresentato dalla colonna evidenziata in blu) il 60,5% di chi opera nell’Ict ha almeno una laurea. Mentre estendendo l’analisi a tutti i settori i laureati sono il 33,4%. L’Italia (rappresentata dalla colonna azzurra) è in entrambi i casi fanalino di coda: solo un “tecnico” dei computer su tre è laureato, in un mercato dove ha completato gli studi accademici poco più di un lavoratore su cinque. Da questo punto di vista fa peggio, ma di uno 0,2%, solamente la Romania.
 
Italia ultima in Europa anche se si guarda alla quota di under 35 sia nell’Ict che nel mercato del lavoro in generale. Ma onestamente, in un Paese che continua a segnare livelli record per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, il dato non stupisce. Lo stesso succede dopo aver concluso un’analisi di genere: l’Italia va ben oltre la media europea se si guarda all’occupazione femminile. A livello generale, il 57,9% dei lavoratori italiani è uomo, mentre a livello Ue si tratta del 53,9. Nel settore Ict del nostro Paese, i maschi rappresentano però l’86,2% del totale degli addetti. Solo una su sette, in altre parole, è donna. Un risultato del gap di genere che si registra già quando si tratta di iscriversi all’università, con le facoltà Stem che attraggono una quota di studenti maschi decisamente superiore a quella delle studentesse. Se insomma i robot ruberanno davvero il lavoro agli esseri umani, sembra che saranno le donne ad essere colpite più duramente.