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cronaca

Coronavirus, mortalità e profilo demografico nella città Milano

Dopo l’arrivo del Covid-19 a Milano e in diverse grandi città la mortalità generale è praticamente raddoppiata, mostrano gli ultimi dati del sistema di sorveglianza della mortalità giornaliera (Sismg).

A febbraio 2020 a Milano erano morte circa 230-240 persone a settimana, poi arrivate a 473 a metà marzo e 561 nella settimana successiva. A Brescia erano decedute fra 30 e 40 persone circa ogni settimana, ma a cominciare dalla seconda e terza settimana di marzo i morti sono arrivati prima a 84, poi a 106 per poi calare leggermente a 101. A Genova – altro esempio – i decessi erano andati da un minimo di 128 a un massimo di 169 a febbraio, ma hanno raggiunto i 302 dal 21 al 27 marzo.

Dati di mortalità reale

I numeri sono ancora più preoccupanti per un’altra ragione. Non includono l’area di Bergamo, zona più colpita d’Italia e che tuttavia non fa parte delle città censite dal sistema di monitoraggio. Lì, secondo altri numeri resi disponibili dall’Istat, rispetto all’identico periodo del 2019 i morti sono quadruplicati: erano 101 dall’1 al 21 marzo dell’anno scorso, sono arrivati a 398 nel 2020. Le statistiche di Istat e Sismg fanno comunque riferimento a periodi di tempo diverso e non possono essere confrontate direttamente fra loro.

Restando al capoluogo lombardo, troviamo che sempre secondo Istat rispetto all’identico periodo del 2019 ci sono stati il 17% di morti in più. Ci riferiamo qui di nuovo ai giorni che vanno dall’1 al 21 marzo, e che proprio per questo non catturano ancora l’intera portata dell’epidemia: lì il grosso dei decessi si è verificato appunto a cominciare da metà mese circa. I numeri dell’agenzia nazionale di statistica mostrano anche che la mortalità è cresciuta moltissimo soprattutto per gli anziani. Nel 2019 erano morte 88 persone fra 65 e 74 anni, poi arrivate a 113. Solo leggermente cresciuti i decessi per i 75-84enni, mentre per ultra-85enni le morti sono passate da 439 a 546

Questo comunque non vuol dire che i giovani o i sani siano immuni: tra le vittime lombarde ci sono  decine e decine di persone sotto i 60 anni e senza particolari problemi di salute precedenti.

Sempre a Milano – anche se questo in effetti vale un po’ ovunque – gli uomini risultano colpiti più gravemente delle donne, e fanno registrare un maggior numero di morti. “I risultati mostrano una forte differenza dell’incremento di mortalità osservato per genere, pari a +63% negli uomini e +39% nelle donne nelle città del nord. […] Nelle donne il trend di incremento per fasce di età mostra un incremento inferiore al 20% fino a 74 anni nelle donne del nord ed un incremento circa del 40% nelle classi più anziane, sopra i 75 anni, mentre nelle donne del sud l’eccesso di registra solo nella classe di età 85 o più”. Tuttavia, come ricordano gli autori, i possibili meccanismi che spiegano queste differenze di genere non sono ancora chiari.

Per capire come stanno andando il modo migliore è fare un paragone con gli anni precedenti. Come sono cambiate le cose? Questo è un periodo dell’anno in cui, di solito, la mortalità tende a diminuire e non a crescere moltissimo come invece sta facendo. Succede perché i due grandi picchi nei decessi avvengono in inverno per le “basse temperature e le epidemie influenzali”, come spiega un rapporto SISMG precedente, in estate per le ondate di calore. In teoria a questo punto della stagione il grosso dell’influenza dovrebbe essere passato e i morti diminuiscono, ma in pratica l’arrivo del Covid-19 ha mandato fuori scala le rilevazioni. Nel momento in cui ci troviamo, mostrano le analisi del Sismg, la mortalità media giornaliera al nord – dove l’epidemia è ormai diffusa – risulta di molto superiore a quella registrata nei cinque anni precedenti.

“I grafici città specifici, si legge nell’ultimo rapporto, evidenziano gli incrementi della mortalità totale a Milano, Brescia e Genova rispettivamente a partire dal 6, 8 e 10 marzo. In termini di mortalità settimanale, a Brescia l’incremento si osserva a partire dalla settimana del 7-13 marzo
soprattutto nella classe di età 85+ anni. A Milano e Genova, l’incremento si osserva a partire dalla settimana del 14-20 marzo nella classe di età 75-84 anni. Un incremento minore della mortalità si osserva anche a Bolzano dal 12 marzo (a carico soprattutto della classe 75-84 anni), a Torino dal 18 marzo, a Verona dal 15 marzo e a Bologna dal 17 marzo”. Al centro-sud, d’altra parte, “si osserva un incremento della mortalità giornaliera a Perugia, Civitavecchia, Roma, Messina e Potenza. In particolare la mortalità settimanale evidenzia un incremento a carico della classe di età 75-84 anni a Roma, Perugia e Messina.

Il primo rapporto conclude ricordando che “i dati del Sismg rappresentano l’unica fonte disponibile in Italia (ed uno dei pochi sistemi in Europa) in grado di monitorare in tempo reale l’andamento della mortalità totale e di stimare, per le principali città italiane, l’eccesso di mortalità giornaliero in relazione alla diffusione del virus Covid-19, producendo stime del numero di eccessi per classi di età, utilizzando come dato di riferimento la serie storica dei dati giornalieri della mortalità per ogni città inclusa nella sorveglianza”.

I dati comunicati ogni giorno dalla protezione civile sui decessi per Covid-19 sono per parte loro ben inferiori, anche considerando che ovviamente non tutti i morti dipendono dall’epidemia in corso, e con tutta probabilità non riescono a includere molti casi di persone che hanno contratto il virus, ne sono poi morte ma senza venire testate.

Per scovare queste persone è necessario, come ha fatto un’inchiesta de L’Eco di Bergamo, consultare le anagrafi locali.

Il modo migliore per stimare l’andamento dell’epidemia è forse quello indiretto, cioè contando quante persone sono morte in più rispetto alla media degli anni precedenti attraverso dati come quelli forniti dal Sismg. Naturalmente è anche un metodo più complicato, perché di fattori che fanno fluttuare i decessi ce ne sono sempre molti in gioco – per quanto nessuno anche solo lontanamente vicino alla gravità del Covid-19.

Altri dettagli interessanti che emergono dal primo bollettino riguardano le caratteristiche dell’epidemia italiana, che risultano al momento ben diverse da quanto è successo per esempio in Cina. Nel nostro caso è presente una percentuale maggiore di casi gravi, con circa il 13% di persone ricoverate in terapia intensiva contro il 9% del paese asiatico. Dei casi individuati – cioè delle persone effettivamente sospettate di aver contratto il virus e poi sottoposte a un test – in Italia è morto il 7,2% contro il 2,3% della Cina. La mortalità è “simile nei due paesi fino alla classe di età 60-69 anni (circa 3,5%)”, mentre troviamo un “incremento maggiore al crescere dell’età nel nostro paese (rispettivamente 12,8% e 8% nella classe di età 70-79 anni e 20,2% e 14.8% nella classe degli over 80)”.

“L’epidemia italiana è iniziata nel Nord Italia, in Lombardia, che ad oggi registra circa il 40% dei casi notificati a livello nazionale e oltre il 60% dei decessi, seguita dall’Emilia-Romagna (13% dei casi e 14% dei decessi)”. Sempre al 26 marzo secondo la protezione civile vi è comunque il 19% e l’11% dei decessi nel centro-sud. Va ricordato comunque che i morti che osserviamo oggi sono l’esito finale di un’infezione avvenuta circa due settimane fa, secondo le migliori stime oggi disponibili.

Se i decessi registrati per Covid-19 sono senza dubbio minori rispetto al numero reale di morti, il distacco fra casi scovati e casi effettivi è con tutta probabilità ancora più ampio. Stime aggiornate al 1 aprile di un gruppo di epidemiologi della London School of Hygiene & Tropical Medicine ipotizzano per esempio che i test condotti in Italia abbiano individuato appena il 6% circa di tutte le persone contagiate, il che porterebbe i casi reali a valori ben maggiori rispetto ai 100mila ufficiali di inizio aprile.

L’autore ringrazia Davide Ederle e biotecnologi.org per l’aiuto durante il lavoro di ricerca per questo articolo.