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economia

Salute mentale, antidepressivi: in tanti li usano, in pochi lo fanno bene

 

 

Nel 2018 continua a crescere il numero di dosi di farmaci antidepressivi assunti dagli italiani, con una spesa del 3,7% maggiore rispetto al 2017. Un totale di 382,1 milioni di euro spesi, di cui 199,2 milioni per antidepressivi SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) che comprendono sei molecole: fluoxetina (uno dei suoi nomi commerciali più noti è “Prozac”), sertralina, citalopram, scitalopram, fluvoxamina e paroxetina.

Lo mette in luce l’ultimo rapporto Osmed di Aifa, pubblicato a luglio 2019. In questo settore l’incidenza del consumo di farmaci a brevetto scaduto ha raggiunto nel 2018 una percentuale dell’89,2%, per la metà dovuto all’utilizzo di farmaci equivalenti.

Nel 2013 si registravano 39 DDD (dosi giornaliere per abitante), diventate 41,6 DDD nel 2018 (+6,5%). La fetta più grossa – un terzo del consumo – è rappresentato dalla classe degli antidepressivi SSRI. L’aumento maggiore in termini percentuali riguarda invece i SNRI (inibitori della ricaptazione della serotonina-norepinefrina), il cui consumo, sempre in termini di DDD, è aumentato del 3,4% solo nell’ultimo anno considerato.

Gap geografico e di genere

La prevalenza d’uso aumenta con l’età e differisce moltissimo fra i sessi: se consideriamo il regime di assistenza convenzionata, fra le donne over 75 la prevalenza d’uso è del 25%, mentre fra gli uomini della stessa età è del 15%. Il gap inizia a farsi sentire già dopo i 45 anni, con rispettivamente il 10% e il 5% di prevalenza d’uso fra i 45-54 enni.

Anche il gradiente geografico è più che evidente: al nord il consumo è molto maggiore che al sud, talvolta addirittura doppio. L’Italia si divide in quattro gruppi: un primo gruppo composto da Basilicata, Campania, Puglia, Sicilia, Molise e Friuli- Venezia Giulia dove si consumano dalle 31 alle 25 DDD; un secondo gruppo composto da Lazio, Calabria, Lombardia, Valle d’Aosta, Abruzzo  dalle 36 alle 40 DDD; un terzo gruppo (Veneto, Trento, Marche, Sardegna, Piemonte ) che mostra dalle 40 alle 47 DDD; e infine un ultimo gruppo composto da Emilia Romagna, Umbria, Bolzano, Liguria e Toscana che tocca punte dalle 52 alle 62 DDD. La Toscana in particolare svetta nella classifica nazionale, con un consumo altissimi di antidepressivi: 62,2  DDD, il doppio di Basilicata e Campania. Sono tuttavia Marche e Sardegna a utilizzare più dosi in assoluto, con un costo per giornata di terapia più elevato rispetto alla media nazionale.

Scarsa aderenza in termini di quantità

Assumere più antidepressivi però non significa migliore aderenza alla terapia. Secondo una rilevazione di AIFA su 123.618 soggetti over 45 nuovi utilizzatori di antidepressivi con un’età mediana di 69 anni e per due terzi donne, gli antidepressivi sono risultati fra le categorie terapeutiche con percentuali più alte di soggetti non aderenti. Il 40% di chi usa questi farmaci ha una bassa aderenza, e solo il 16% ha un’alta aderenza. Una percentuale, quest’ultima, che scende al 14% fra i 75-84 enni e all’11% fra gli over 85.

Sono due gli indicatori considerati nel rapporto: l’aderenza e la persistenza al trattamento. La bassa aderenza è stata definita come una copertura terapeutica (valutata in base alle DDD) inferiore  al 40 % del periodo di osservazione mentre l’alta aderenza è stata definita come copertura terapeutica superiore all’80% del periodo di osservazione. In ogni caso, anche fra le fasce di popolazione più giovane (45-54 anni) solo il 19,4% di chi assume antidepressivi presenta un’alta aderenza alla terapia.

Troppe interruzioni nel trattamento

La persistenza al trattamento è invece il tempo mediano alla discontinuazione del trattamento. Già a 96 giorni dall’inizio della terapia la probabilità di interrompere il trattamento è del 50%, sia fra gli uomini che fra le donne. Differenze più marcate si osservano fra le fasce di età: più si invecchia prima si interrompono le cure, passando da un massimo di 112 giorni per i  45-54 enni a un minimo di 73 giorni per gli over 85 anni. Circa un nuovo utilizzatore su quattro nel campione risulta essere ancora in trattamento ad un anno dall’inizio della terapia.