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Come sta la ricerca in Italia? Male ma non malissimo. Ecco quanto e dove abbiamo speso per l’innovazione

La lancetta ha superato la metà del quadrante: nel 2017 sia la principale fonte di finanziamento che di spesa in Ricerca e Sviluppo intra-muros (cioè svolta dalle imprese con proprio personale e con proprie attrezzature) nel nostro paese è il settore privato. Su quasi 23,8 miliardi di euro stimati come spesa per R&S intra-muros, imprese e no profit contribuiscono per il 55,2% come finanziamento (13,1 miliardi di euro) e per il 62% (15,2 miliardi di euro, 14,8 miliardi solo dalle imprese) come spesa. Per fare un confronto: nel 2017 le università hanno speso 5,6 miliardi di euro, le istituzioni pubbliche 2,9 miliardi.

Sono i dati contenuti nell’ultimo rapporto di Istat “La Ricerca e Sviluppo in Italia” pubblicato a settembre 2019.

Per quanto riguarda il finanziamento, ai privati seguono le istituzioni pubbliche con il 32,3% della spesa (7,7 miliardi) e i finanziatori stranieri, che partecipano all’11,7% della spesa (2,8 miliardi). Si riducono gli investimenti sostenuti da imprese italiane, compensati da un aumento dei finanziamenti esteri. In ogni caso l’82% della spesa delle aziende è autofinanziamento, così come l’85% di quella delle istituzioni pubbliche.

La spesa in ricerca privata risulta trainata dalle aziende, che segnano un 5,3% di più di investimenti sul 2016, a fronte di una flessione fra la spesa delle aziende no profit. L’incremento – precisa Istat – è dovuto prevalentemente all’aumento del numero di imprese che hanno svolto attività di R&S intra-muros nel corso del 2017 piuttosto che all’aumento della spesa sostenuta dalle imprese storicamente attive in questo campo.

Rimane invece stabile la spesa da parte delle università. Le imprese e le istituzioni sembrano ulteriormente ottimiste: le previsioni elaborate e condivise con Istat segnano per il 2019 un ulteriore aumento della spesa in R&S intra-muros sul 2018: un +5,7% fra le istituzioni private non profit, un +2,7% fra le istituzioni pubbliche e un +0,8 fra le imprese, che ricordiamo rappresentano la fetta più grossa della spesa.

Il punto è che si tratta di investimenti disequilibrati: il 70% della spesa in R&S – 16,2 miliardi di euro – si concentra nelle regioni del Centro-nord Lombardia, Lazio, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto. Se consideriamo solo le imprese, si sale al 75% di investimenti in queste sole cinque regioni.

Le donne impegnate in attività di ricerca e sviluppo sono ancora meno degli uomini: circa un terzo della componente totale e l’1% in meno rispetto al 2016. Inoltre, sebbene il loro numero cresca, lo fa in misura molto minore rispetto agli uomini. Nel 2017 si contano 156.044 impiegate, il 7,2% in più rispetto al 2016, anche se nello stesso anno il numero di impiegati maschi è cresciuto del 12,7%. Sono le imprese ad assumere in proporzione più donne, anche se rimane il fatto che nel settore privato la quota percentuale di donne sia notevolmente inferiore. Fra queste 156 mila impiegate, 67 mila sono ricercatrici, il 2,6% in più rispetto al 2016, un incremento che sale all’8,6% nel settore privato, ma che scende all’1,3% nelle università e nel settore pubblico.

Nel complesso – fra settore pubblico e privato – dei 23,8 miliardi di euro totali, il 40,2% (10 miliardi) è destinato alla ricerca applicata, che si conferma la principale voce di investimento. Altri 8,5 miliardi (il 35%) sono dedicati ad attività di sviluppo sperimentale, mentre la ricerca di base rappresenta una spesa di circa 5,3 miliardi di euro (il 22,2%).

E il settore pubblico? A quanto pare abbiamo assistito a un incremento (+16,8%) negli stanziamenti nell’ambito R&S da parte delle Amministrazioni Centrali, delle Regioni e  delle Province autonome, passando da 8.791,9 milioni di euro del 2017 (previsioni di spesa assestate) a circa 10.272,2 milioni di euro del 2018 (previsioni di spesa iniziali). Un terzo di questi finanziamenti sono destinati alle università sotto forma di Fondo di finanziamento ordinario (FFO), un altro 22% è orientato in misura maggiore verso le produzioni e le tecnologie industriali, il 9% è rivolto all’esplorazione e utilizzazione dello spazio e l’8,8% alla protezione e promozione della salute umana.

 

 

Ultimi commenti
  • antonio taccola |

    i ricercatori sono persone…dopo tanti anni di lavoro precario andrebbe comunque stabilizzati inoltre c è chi lo fa (CNR etc)) e chi non lo fa (IIT etc) basta parlare di ricerca e parliamo di più di chi si impegna per anni senza un futuro sicuro!

  • antonio taccola |

    i ricercatori sono persone…dopo tanti anni di lavoro precario andrebbe comunque stabilizzati inoltre c è chi lo fa (CNR etc)) e chi non lo fa (IIT etc) basta parlare di ricerca e parliamo di più di chi si impegna per anni senza un futuro sicuro!

  • Gianluca |

    Va bene conoscere i dati sulla spesa in ricerca ed innovazione, ma quali sono stati i risultati economici di questi investimenti (nuovi brevetti, nuove startup, posti di lavoro creati, etc)? Per quali soggetti (imprese, università, etc)? In quali ambiti (telco, IT, manifattura, medicina, chimica, energia, etc)?

  • Gianluca |

    Va bene conoscere i dati sulla spesa in ricerca ed innovazione, ma quali sono stati i risultati economici di questi investimenti (nuovi brevetti, nuove startup, posti di lavoro creati, etc)? Per quali soggetti (imprese, università, etc)? In quali ambiti (telco, IT, manifattura, medicina, chimica, energia, etc)?

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