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politica

Part-time, chi lo usa meno non lo fa per scelta. Il caso Italia

La sintesi del titolo probabilmente non aiuta. Così, però, magari è più chiaro: in quei Paesi europei nei quali il ricorso al part-time è meno diffuso, è più alta la percentuale di chi lavora con un contratto di questo tipo e lo faccia non per scelta ma perché questo ha trovato. Detto in altre parole, dove è meno diffuso, il lavoro a tempo parziale non è inteso come una modalità per organizzare diversamente la propria vita. Un esempio? Esatto, l’Italia.

 

Prima di arrivare all’analisi del caso specifico, però, alcune precisazioni. Intanto la fonte dei dati: si tratta di Eurostat. I numeri si riferiscono al 2017, quindi allo scorso anno, e riguardano le persone di età compresa tra i 15 ed i 64 anni. Sono due gli elementi che sono stati censiti. Il primo riguarda appunto la percentuale di persone che lavorano con un contratto a tempo parziale. Il secondo la percentuale di questi ultimi che non ha scelto di lavorare part-time. A livello continentale, la situazione è questa:

 

 

Ovviamente, più il colore di una nazione è scuro, più alta è la percentuale. Nella prima mappa di persone che lavorano part-time, nella seconda di lavoratori che non hanno scelto questa forma contrattuale. E se si osservano le due mappe, si vede come le tonalità siano ribaltate. Nella prima spicca l’Olanda, dove la metà dei lavoratori opera a tempo parziale. Ma in generale le nazioni del Nord sono quelle in cui il part-time è più diffuso. Mentre nell’Est Europa lo è decisamente meno.

 

Se si guarda alla seconda, quella che rappresenta il part-time involontario, a colorarsi di tonalità più scura è l’Europa del Sud. La garlic belt, i paesi Pigs, lo si dica come si vuole: non si tratta certo delle economie più floride a livello continentale. Il che permette di inferire che in questi Paesi molto spesso chi lavora a tempo parziale cercava un impiego a tempo pieno, ma non lo ha trovato sul mercato del lavoro. E quindi, in qualche modo, si è accontentato.

 

Ed è il caso, appunto, dell’Italia. Nel nostro Paese, afferma l’istituto europeo di Statistica, il 18,5% delle persone ha un contratto a tempo parziale. Tra questi lavoratori, il 62,5% non ha scelto volontariamente questa formula contrattuale. Ma, appunto, non ha trovato altro.

 

In tutto questo, poi, emerge anche una questione di genere. Se con il cursore del mouse, o con il dito se si legge da mobile, si seleziona un Paese, apparirà una finestra che riporta intanto la percentuale globale di persone che lavorano part-time. O che lo fanno senza averlo scelto, nel caso della seconda mappa. Oltre ad un grafico con due barre: quella azzurra mostra la percentuale di uomini, quella rosa si riferisce invece alle donne.

 

Il punto è che nella mappa di chi lavora part-time, la quota femminile è sempre maggiore rispetto a quella maschile. In quella che invece fa riferimento a chi lavora a tempo parziale “contro voglia”, la percentuale di uomini è quasi sempre superiore a quella delle donne, con qualche eccezione nei Paesi baltici, in Finlandia, in Portogallo e in Repubblica Ceca. Quasi a dire che, in una famiglia, deve essere l’uomo a lavorare per portare a casa il pane, mentre la donna deve più spesso rinunciare a lavorare full time, magari per avere il tempo di prendersi cura dei figli. E questo vale a prescindere da latitudine e stato di salute dell’economia.