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politica

Il termometro dei referendum in tre grafici: dal 1946 a oggi partecipazione in calo, sì in aumento

L’8 e il 9 giugno i cittadini italiani saranno chiamati alle urne per esporre il proprio giudizio su cinque quesiti, quattro dei quali inerenti il lavoro e uno i diritti civili. La tornata referendaria di giugno fa arrivare a 78 i referendum abrogativi svoltisi in Italia dal 1946 a oggi e conferma l’Italia come il terzo paese in Europa per numero di referendum realizzati, dopo Svizzera e Liechtenstein.

Il primo referendum avvenuto in Italia è quello istituzionale, avvenuto il 2 giugno 1946 e in cui si chiese ai cittadini italiani di scegliere tra monarchia e repubblica.
Successivamente, i referendum avvenuti con maggiore frequenza sono quelli abrogativi, in cui la popolazione è invitata a decidere se voler abrogare o no una legge; lo strumento abrogativo permette di lavorare esclusivamente su norme già esistenti, quindi non si eleva a mezzo ideale per poter regolamentare un comportamento o concedere un diritto, visto che la struttura iniziale della legge potrà essere al massimo ridotta, ma mai modificata.

Dal 1946 a oggi in Italia ci sono stati 78 referendum, considerando quelli dell’8 e del 9 giugno 2025. Precedentemente a quelli dell’anno corrente, l’ultima tornata referendaria per l’abrogazione di una norma è avvenuta nel 2022 ed era principalmente orientata sul tema della giustizia; in questo caso il quorum non è stato raggiunto.
Il quorum è l’elemento che sancisce la validità di un referendum abrogativo: se non si reca alle urne metà degli aventi diritto più uno, allora il quorum non è raggiunto e il referendum non è valido.

Dei 72 referendum abrogativi svolti prima di giugno 2025, in quasi la metà il quorum non è stato raggiunto; infatti, il 45% dei referendum abrogativi è stato dichiarato invalido a causa della maggioranza non raggiunta, mentre nel restante 55%, equivalente a 39 referendum effettivamente votati, il sì ha vinto quasi il 60% delle volte, cioè in 23 casi.
Una nota rilevante è che spesso il quorum è raggiunto anche in base all’importanza dei quesiti: se un referendum contiene molteplici domande, di cui una di particolare rilevanza per la popolazione, allora i cittadini potrebbero partecipare alla votazione incentivati da quel singolo quesito. È comunque importante ricordare che ogni quesito ha il suo quorum; infatti, a ogni cittadino verrà chiesto in quali dei quesiti vuole esprimere la propria decisione e se non ritirerà la relativa scheda, non verrà conteggiato come partecipante.

In Italia, l’affluenza alle urne è diminuita anche nel caso dei referendum abrogativi, con il valore più basso raggiunto nel 2022 nei referendum sulla giustizia, dove ha partecipato solamente il 20% degli aventi diritto. L’ultima volta che è stato raggiunto il quorum in un referendum abrogativo è nella quart’ultima tornata tornata referendaria, avvenuta nel 2011.
Se il numero di cittadini che esprime la propria opinione è sempre basso, coloro che partecipano sono sempre più favorevoli al sì; il meccanismo stesso dietro al quorum è la spiegazione del fenomeno. Infatti, chi non è interessato ai quesiti e chi è contrario all’abrogazione potrebbero comportarsi alla stessa maniera: non presentarsi alle urne, invalidando il quorum e non facendo passare l’abrogazione della norme, mentre chi si presenta alle urne è molto probabile che lo faccia per votare sì. Il motivo per cui i favorevoli al sì e l’affluenza sembrano correlati negativamente è l’esito intrinseco del funzionamento del quorum.

Il referendum abrogativo può essere richiesto da 500.000 cittadini elettori o da 5 consigli regionali; spesso, sono i partiti stessi a occuparsi della raccolta del numero di firme necessarie da parte dei cittadini aventi diritto di voto. Una volta raccolto il consenso degli elettori alla proposta, sarà la Corte costituzionale a definire se i quesiti presentati siano ammissibili, ossia se rispettano la Costituzione. I limiti espliciti di non ammissibilità riguardano il vincolo a non esporsi su temi legati alle leggi tributarie o di bilancio, di amnistia o di indulto e di trattati internazionali. Altri limiti, più impliciti, riguardano la presentazione di un un quesito ambiguo che costringe il cittadino a esprimersi su più casi contemporaneamente.

Il partito che in Italia ha fatto suo lo strumento referendario, elevandolo a strumento stesso di lotta politica è sicuramente il Partito Radicale: più della metà dei referendum abrogativi votati sono stati proposti dal partito libertario in Italia per eccellenza. Nel corso della storia del partito, sono state 110 le proposte di referendum generali promosse, di cui 47 sono riuscite ad arrivare al voto.
Il quesito referendario relativo alla cittadinanza di giugno 2025 è stato promosso da +Europa, PRC, PSI, Possibile e Radicali Italiani, insieme ad altre associazioni. Dietro ciascun referendum, è possibile ci siano molteplici enti promotori; infatti, non sempre è un unico partito a promuovere un quesito referendario, quindi spesso i Radicali hanno preso parte alla promozione di altri referendum proposti principalmente da altri enti e, allo stesso tempo, sono stati supportati da altre organizzazioni nella promozione dei loro referendum.
Nel grafico sono stati inseriti solamente i partiti o gli enti promotori principali, escludendo gli altri partecipanti.

I temi trattati dai referendum possono variare molto tra di loro, ma è comunque possibile individuare alcuni degli ambiti più trattati. In Italia, l’area più interessata dai referendum abrogativi è quella della giustizia, seguita dal lavoro.
In Svizzera la decisione chiesta ai cittadini è molto più orizzontale e passa dal trattare temi apparentemente meno importanti a temi di diritti civili enormemente sentiti dalla cittadinanza, mentre in Italia, la democrazia non è così diretta e i cittadini sono chiamati a esporre le proprie decisioni principalmente in quei settori in cui il parlamento non riesce a legiferare. Quattro dei cinque quesiti su cui i cittadini dovranno esprimere il proprio giudizio l’8 e il 9 giugno sono sul lavoro, mentre uno riguarda i diritti civili, essendo legato al tema della cittadinanza.

I referendum abrogativi sono lo strumento di democrazia diretta che permette ai cittadini di esprimersi in merito alle leggi vigenti in Italia, ma la limitazione alla mera rimozione di parti di una norma costringe a un risultato opaco, a un quesito di difficile formulazione, ma che non suoni ambiguo, visto il ruolo della Corte costituzionale sulla sua ammissibilità: il risultato finale potrebbe apparire simile a quello di un’operazione di “taglia e cuci” che si avvicina solamente all’effetto sperato.

I referendum sono stati utilizzati anche come strumenti di lotta politica, e il Partito Radicale ne è stato il principale interprete, sfruttando al massimo le potenzialità – esplicite e implicite – della chiamata diretta ai cittadini. Spesso, infatti, la sola promozione di un referendum è sufficiente a spingere il Parlamento ad accelerare i propri lavori o ad assumere una posizione su questioni rimaste in sospeso; in questo senso, il referendum si configura come un efficace strumento di pressione politica.
Tuttavia, un uso eccessivo di questo istituto può anche diventare il sintomo di un’impasse istituzionale, segnalando l’incapacità del Parlamento di ascoltare la società o di affrontare con decisione temi complessi e divisivi.
In definitiva, il referendum abrogativo si configura come un termometro della vitalità democratica del Paese: uno strumento potente di partecipazione, capace di stimolare l’azione parlamentare ma anche di denunciarne l’inerzia.

 

Per approfondire: 

Eutanasia e cannabis legale, l’identikit di chi ha sostenuto i referendum con la firma digitale