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Scopri quanti cartoni animati violenti hai visto nella tua infanzia (e pensa che ai tuoi figli va peggio)

I bambini degli anni Ottanta e Novanta – quelli che oggi sono genitori, insegnanti o comunque cittadini adulti – sono cresciuti immersi in un flusso di televisione sorprendentemente violenta.

Un’indagine realizzata nel 1992 dal Center for Media and Public Affairs negli Stati Uniti rivelava che i programmi per bambini contenevano in media 25 atti di violenza all’ora. In cima alla classifica si trovava Dark Water, con 109 atti in sessanta minuti, seguito da Cookie’s Cartoon Club con 100 e Tom and Jerry Kids con 88. Anche Dragon Warrior, Looney Tunes e G.I. Joe registravano valori elevati, rispettivamente 85, 80 e 78, mentre Bugs Bunny and Pals arrivava a 68 e Toxic Crusaders a 63. Per i ricercatori, questi erano programmi da considerare “molto violenti”. Seguivano quelli definiti semplicemente “violenti”: Il mago di Oz e Ducktales con 29 atti l’ora, Beetlejuice con 28, Braccio di Ferro con 27 e, poco sotto, Fantastic Max, Dinosaucers e Chip N’Dale’s Rescue Rangers con 26.

Pochissimi i cartoni davvero “innocui”: Candy Candy, Babar e i Muppet (che comunque mostravano 6-8 episodi violenti l’ora), insieme a David Gnomo, Piccole donne e Little Koala. Come osservava John Condry nel suo saggio Ladra di tempo, serva infedele, i cartoni di azione-avventura raccontano sempre storie di potere e conflitto. Anche per i messaggi sulla salute la situazione non era rassicurante: in 36 ore di programmazione analizzate in due giornate tipo, per ogni messaggio antidroga ne comparivano sei che la normalizzavano o la presentavano in chiave positiva. Inoltre un adolescente era esposto in media a 2.500 riferimenti sessuali in un solo anno.

L’indagine calcolava anche il numero di atti violenti su tutta la programmazione quotidiana, con un focus sulla prima serata. Tra il 1980 e il 1992, le scene di violenza trasmesse in un’ora sui principali canali americani erano cresciute in modo significativo: se nel 1980 si registravano tra le 11 e le 22 scene per ora, nel 1992 i numeri salivano tra 38 e 60.

Il bilancio 10 anni dopo

Le conseguenze dal punto di vista comportamentale sui bambini sono molto discusse ma non tutti la pensano allo stesso modo, ad esempio sulla presunta spinta all’aggressività indotta dai videogiochi. I dati più recenti arrivano da uno studio pubblicato nel gennaio 2025 – il Quebec Longitudinal Study of Child Development – che ha seguito quasi 2.000 bambini in due momenti: dalla primissima infanzia fino ai 15 anni. è emerso che nei maschi l’abituale esposizione a contenuti violenti tra i 3 e i 4 anni e mezzo è associata a un aumento, più di dieci anni dopo, dell’aggressività fisica, dell’aggressività pianificata e di comportamenti antisociali. Nessuna associazione simile è stata trovata fra le bambine. Lo studio ha controllato diversi fattori familiari e individuali, confermando che il legame non sembra essere casuale.

Democrazia significa ridurre la violenza

Nel 1994 è stata pubblicata una riflessione del celebre filosofo Karl Popper, che sarebbe morto di lì a pochi mesi, sul tema della violenza in TV e sul ruolo della democrazia. L’idea centrale che Popper esprimeva è che il cuore della democrazia è ridurre la violenza all’interno del proprio sistema paese. Sconcerta oggi notare come Popper desse questo obiettivo quasi per scontato. Dal momento che la televisione – dati alla mano – stava andando in tutt’altra direzione, era tempo di considerare la proposta di una sorta di “patente” per fare televisione.
“C’è un livello di apprendimento e di intelligenza che è necessario alle vittime della televisione per distinguere tra quello che viene loro offerto come realtà e quello che viene loro offerto come finzione […] questa supervisione costante è qualcosa di molto più efficace della censura, anche perché la patente, nella mia proposta, deve essere concessa solo dopo un corso di addestramento al termine del quale ci sarà un esame”. Per chi fosse interessato al testo completo, è stato pubblicato in italiano con il titolo Cattiva maestra televisione, per i tipi di Reset nel 1994 e riedito da Marsilio nel 2019, e contiene i dati citati in apertura e che trovate rappresentati nei grafici.
(Un’altra lettura interessante è lo speciale dal titolo The Long Story of Violence on TV risalente sempre al 1994)

Come si regolamenta la violenza in TV in Italia

L’idea di una “patente” per fare televisione oggi può sembrare curiosa, ma in Italia nel corso degli anni sono stati messi in campo strumenti per limitare l’esposizione dei bambini alla violenza, inclusa una forma di censura attraverso sistemi di segnalazione. Nel nostro Paese esiste un Ordine dei giornalisti, che stabilisce diritti e doveri per chi lavora nell’informazione, ma per fare intrattenimento televisivo non serve essere giornalisti. Dalla fine degli anni Novanta, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ha iniziato a occuparsi anche della tutela dei minori. A partire dalla legge 249/1997, le norme vietano la trasmissione di contenuti audiovisivi e radiofonici gravemente dannosi per lo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori, come scene di violenza gratuita o pornografia. Questi programmi possono andare in onda solo in fascia notturna (23-7) o con adeguati sistemi di protezione, come avvisi sonori e simboli visivi. Con il Codice di autoregolamentazione Media e Minori del 2002, recepito dalla legge 112/2004, è stato introdotto un sistema di tutela per fasce orarie, e successive delibere hanno stabilito criteri per classificare i programmi a rischio in base a tema e modalità di rappresentazione.

Oggi, ben oltre la TV

Oggi però la sfida principale non è più la televisione ma la rete, dove i bambini sono esposti fin dalla tenera età a contenuti violenti spesso senza alcun filtro. Il report Children, Violence and Vulnerability 2023 del Youth Endowment Fund offre un quadro preoccupante: su un campione di oltre 7.500 ragazzi tra i 13 e i 17 anni in Inghilterra e Galles, il 60% dichiara di aver visto atti violenti sui social media, percentuale che supera l’85% tra i giovani più vulnerabili, e quasi un terzo ha visto contenuti legati alle armi. Il 47% afferma che la violenza, o la paura di subirla, condiziona la propria vita quotidiana, e uno su cinque ha saltato la scuola per sentirsi più sicuro.

“Il punto centrale nel processo educativo non consiste soltanto nell’insegnare fatti, ma nell’insegnare quanto sia importante l’eliminazione della violenza” scriveva Popper 30 anni fa.
I minori di oggi che nell’arco temporale 2009-2014 hanno vissuto la violenza dentro casa, diretta o indiretta – dice un’indagine Save The Children – sono 427 mila.