Gli astronomi potrebbero avere catturato per la prima volta la nascita di un pianeta, osservandolo mentre plasma il disco di gas e polveri che circonda la sua stella madre. Le immagini, ottenute con il Very Large Telescope dell’ESO in Cile, mostrano il sistema HD 135344B, una giovane stella situata a 440 anni luce dalla Terra e avvolta da un disco protoplanetario con bracci a spirale. Proprio alla base di uno di questi bracci, nel punto previsto dai modelli teorici, è stato individuato un segnale luminoso attribuito a un protopianeta ancora immerso nel disco. Le stime indicano che l’oggetto ha una massa doppia rispetto a Giove e orbita a una distanza dal proprio sole paragonabile a quella di Nettuno dal nostro, raccogliendo materiale mentre cresce. In passato strutture simili in altri sistemi erano state interpretate come indizi indiretti della presenza di pianeti neonati, ma non era mai stata rilevata direttamente la loro luce. In questo caso l’osservazione è avvenuta con ERIS, il nuovo strumento del VLT, che ha permesso di ottenere una risoluzione e una sensibilità tali da isolare il segnale del pianeta dalla luminosità del disco. risultato si deve allo studio internazionale pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics guidato dall’Italia con Istituto Nazionale di Astrofisica e Università di Firenze, che vede la partecipazione anche delle Università di Bologna e di Milano e dell’Inaf di Padova e di Bologna.
Nello stesso periodo un altro gruppo, utilizzando sempre ERIS, ha osservato il sistema V960 Mon, una stella nelle prime fasi della sua vita attorno alla quale ALMA e SPHERE avevano già individuato bracci a spirale e frammentazione del materiale per instabilità gravitazionale. Le nuove immagini mostrano un oggetto compatto e luminoso vicino a uno dei bracci, che potrebbe essere un pianeta in formazione o una nana bruna, fornendo forse la prima prova diretta di un oggetto nato per collasso gravitazionale. Entrambi i risultati, pubblicati su Astronomy & Astrophysics e The Astrophysical Journal Letters, si basano su osservazioni ad alta risoluzione e segnano un passo avanti nello studio dei processi che portano alla nascita di pianeti giganti.
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