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economia

Lavoro agile, Italia tra le ultime in classifica nei Paesi Ue per smart working riconosciuto ai lavoratori

 

Nel 2023, solo il 4,4% dei lavoratori e delle lavoratrici italiane hanno potuto svolgere, per almeno la metà del monte ore settimanale, la propria attività lavorativa in smart working. Una percentuale che, secondo i dati più aggiornati dell’Istituto di statistica europeo (l’Eurostat), ci fa finire tra gli ultimi in classifica dei Paesi UE (dopo la Slovacchia, che quantifica un 4,9%, e prima di Cipro, che registra un 3,8%).

 

Confrontando i dati si evidenzia da subito l’enorme gap del nostro Paese rispetto alle prime in classifica. La Finlandia, ad esempio, si posiziona sul gradino più alto del podio registrando un 22,4% di lavoratori e lavoratrici che svolgono più della metà della settimana in smart. Nel Paese baltico, addirittura, la percentuale di chi svolge meno della metà della settimana (parliamo di una quota comunque ampia, pari al 20,4%) è inferiore rispetto a chi, invece, occupa la maggior parte del tempo in tale modalità. Ecco, per i cittadini peninsulari si nota una casistica diametralmente opposta. In Italia, infatti, chi svolge più della metà della settimana in modalità agile (ricordiamolo, solo il 4,4%) è nettamente inferiore rispetto a chi ci lavora meno della metà del tempo (il 7,7%).

 

 

Un fenomeno che del resto viene da lontano. Guardando l’andamento degli ultimi dieci anni, si nota che siamo sempre stati al di sotto della media dei Paesi UE.  Ma una precisazione è dovuta: abbiamo seguito la medesima – timida – evoluzione che si notava nel vecchio continente, che dimostrava un lento incremento negli anni dell’utilizzo dello smart working. Solo dal 2020 in poi, dopo la pandemia da Covid-19, la media europea ha avuto un notevole incremento (che negli anni successivi si è stabilizzata, rientrando gradualmente, anche se di poco). Osservando, invece, quanto accaduto nella penisola, si nota un progressivo sgonfiarsi della percentuale, fino a quasi raggiungere i livelli pre-pandemici (dove si registrava un 3,6%, e quindi solo uno 0,8% in meno rispetto all’attuale percentuale). Questo è indubbiamente dovuto alla cronaca delle normative sul lavoro agile. Ad esempio, dal primo aprile scorso, lo smart working è tornato ad essere regolato dalla legge n.81/2017. Significa che sono state perse molte delle semplificazioni che erano previste per alcune tipologie di lavoratori. Per capirci, adesso sarà necessario un accordo individuale tra impresa-dipendente per l’ottenimento di tale strumento. Quindi, di fatto, lo smart working cessa di essere un diritto del lavoratore e diventa una modalità di esecuzione della prestazione.

 

Tutto ciò si contrappone a quelle che sono le consuetudini di lavoro sempre più adoperate nel continente, dove ben 11 Paesi si ritrovano in percentuali maggiori rispetto alla media UE del 9%. Questo è principalmente dovuto alle dinamiche che si generano per le aziende attraverso l’utilizzo dello smart working (e alla relativa convenienza, anche finanziarie). Infatti, secondo diversi studi, le imprese possono risparmiare fino a 2,5 mila euro ogni anno per ciascuno dei loro dipendente, per via della riduzione degli spazi in sede (che comportano spese di manutenzione, affitto dei locali, eccetera). Inoltre, per i dipendenti, la flessibilità lavorativa contribuisce ad una migliore gestione dell’equilibrio tra vita professionale e personale, non considerando poi il risparmio di tempo e denaro per gli spostamenti. Del resto, secondo un’indagine condotta dall’Associazione dei direttori del personale (Aidp), una giornata in smart working fa risparmiare in media 74 minuti di tempo per recarsi in ufficio e circa mille euro l’anno di trasporti. E, infine, una faccenda da tenere necessariamente in conto: con il lavoro agile si tutela l’ambiente, comportando una riduzione delle emissioni di Co2 di circa 450 kg annui a persona.

 

L’auspicio, dunque, è che nel nostro Paese non si distolga lo sguardo da tali dinamiche, valutando questo strumento sotto un profilo di benessere per i lavoratori, risparmio per le aziende e salvaguardia dell’ambiente.