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economia

La Gen Z è più propensa a cambiare occupazione. Donne e operai i più infelici

Il 60% dei ragazzi appartenenti alla generazione Z cambierebbe lavoro entro 12 mesi. Parliamo dei cosiddetti nativi digitali, nati tra il 1997 e il 2012. Insieme a loro, troviamo la categoria degli operai. Il 54% dei colletti blu, infatti, sarebbe infelice e propenso a lasciare la propria professione. Inoltre, nella penisola italiana alcune zone sono più interessate da questa attitudine. La maggiore concentrazione, ad esempio, è nel Nord Ovest, dove il 49% degli intervistati ha rivelato la propria insoddisfazione nell’ambito lavorativo.

 

Sono questi i risultati dell’Osservatorio BenEssere Felicità, alla sua quarta analisi sullo stato di salute psicologico e del benessere dei lavoratori italiani. Due tematiche che del resto vanno a braccetto, come anche dichiarato da Sandro Formica, vicepresidente e direttore scientifico dell’Associazione Ricerca Felicità, secondo cui: “Il lavoro ha un ruolo attivo nell’alimentazione della felicità. Non è un’impressione, non è trascurabile, è un fatto. Dalla nostra ricerca emerge chiaramente anche uno scollamento nel percepito dei lavoratori: se è vero per il 76% che il loro lavoro migliora l’azienda, non si registra invece reciprocità in termini di soddisfazione dei bisogni, che per il 35% non sono soddisfatti dal proprio lavoro. Man mano che viene data centralità al lavoratore, lo scollamento si fa ancor più esplicito: per il 41% il lavoro non dà un senso alla vita, per il 47% non aiuta a capire sé stessi”.

 

La ricerca ha coinvolto mille persone rappresentative di tutte le generazioni, secondo il loro peso fisiologico nel mercato del lavoro (dalla Generazione Z ai Boomers). Il campione nazionale della popolazione attiva – quella occupata – aveva un’età dai sedici anni in su ed è stato distribuito sul territorio usando quote per area geografica. L’analisi dei dati e dei risultati è stata realizzata da Research Dogma, centro di ricerca e consulenza specializzato sulle tematiche di capitale umano.

 

Sulla base di tale ricerca, si può dire che in generale, l’indice medio (a livello nazionale) di felicità per la propria vita è al 40%, mentre quello per il proprio lavoro al 49%. Guardando invece alla propensione media a cambiare lavoro, il 45% degli italiani lo farebbe entro 12 mesi. Ma, entrando nel vivo delle numeriche, in Italia sono più felici le donne o gli uomini? Di quale generazione? Al Nord o al Sud?

 

Partiamo col dire che sono le donne italiane ad essere le più infelici. Il 38% di loro ha risposto negativamente alle domande poste per capire il loro attuale grado di felicità. Mentre, se guardassimo alle categorie generazionali, il minore grado di soddisfazione per la propria vita (il 38%) si registra per la Gen X, la generazione dei nati tra il 1960 e il 1980. Troviamo numeri molto simili spostando l’attenzione sul lavoro. In questo caso, come dichiarato da Elisabetta Dallavalle, presidente dell’Associazione Ricerca Felicità: “vediamo le donne leggermente meno felici degli uomini con una media nazionale del 48% del genere femminile contro il 50%. La Generazione Z è quella più infelice del proprio lavoro con il 44%, a salire la Generazione X con il 46%, poi i boomer a un passo dalla pensione con il 50% e i millennial, che con il 55% sembrano i più felici del proprio lavoro. La classe operaia invece è la meno felice con una media del 44%”.

 

Un particolare degno di nota riguarda quanto risposto dalle italiane e dagli italiani alla domanda: “se tu oggi dovessi scegliere un nuovo posto di lavoro, quali aspetti considereresti più importanti?” Le risposte vedono al primo posto per i lavoratori e le lavoratrici l’empowerment, che con un 30% contempla le opportunità per la crescita, il contenuto del lavoro, l’autonomia, le aspirazioni e l’attenzione alla salute mentale, sebbene su tutti gli aspetti sia in testa lo stipendio, che confluisce insieme al welfare nella compensation, portandone l’incidenza al 24%. Tempo e work-life balance incidono per il 23%, mentre la comunità di lavoro, che contempla le persone, i valori e l’essere apprezzati, per il 20%. Solo il 3% ritiene importante il brand tra i fattori d’attrazione e retention.

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