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Perché gli anziani hanno rinunciato alle visite mediche? Non è stata tutta colpa del COVID

Fra il 2021 e il 2022 3 over 65 su 10 hanno avuto almeno una difficoltà nell’accesso dei servizi socio-sanitari, 1 su 5 addirittura ad andare dal medico di famiglia e in farmacia e il 28% degli intervistati ha avuto difficoltà ad andare a fare la spesa. 1 anziano su 4 ha rinunciato a visite mediche e/o esami diagnostici, addirittura 6 su 10 vivono in abitazioni con problemi strutturali, 16 su 100 abitano troppo distanti dai propri familiari, 7 su 100 sentono di vivere in quartiere non sicuro, e 6 su 10 hanno ricevuto consigli su come gestire le ondate di calore.

Ad averci rimesso in termini di visite saltate sono, come era prevedibile, i più anziani, i più poveri, le persone con titolo di studio meno elevato, le donne e chi vive al sud. Non stiamo parlando di gap trascurabili.

Il 28% delle persone con difficoltà economiche vive in isolamento, contro l’11% di chi non ha problemi di questo tipo. Il 25% di chi ha un titolo di studio molto basso contro ilm 7% dei laureati, il 20% degli anziani che vivono al sud contro il 10% di chi vive al nord.

Colpa del COVID? Solo in parte. Il 22% delle persone che hanno rinunciato a visite mediche nel 2021-22 ha dato la colpa allo studio medico che era chiuso, il 31% alla paura di infettarsi. Il 35% – la fetta più consistente – non si è sottoposto a visite utili per le liste d’attesa troppo lunghe (ne parlavamo qui) , il 7,4% per difficoltà ad accedere alla struttura e il 5% per costi troppo levati.

Di conseguenza durante i primi due anni di pandemia hanno rinunciato alle visite specialistiche proprio i più svantaggiati, ancora. Nel complesso siamo passati un tasso di rinuncia delle visite del 34% nel 2020 al 25% del 2021 al 22,9% del 2022. Meglio ma non benissimo. Ha rinunciato il 26% delle donne contro il 21% degli uomini (che sono comunque tanti), il 37% di chi ha difficoltà economiche contro il 21% di chi non ne ha; il 27% di chi vive al sud contro il 21% di chi risiede al nord.

Il 38% delle donne con più di 65 anni ha avuto difficoltà nell’accesso ai servizi socio sanitari, contro il 22% degli uomini: quasi il doppio. Il 50% di chi ha soltanto l’istruzione elementare contro il 17% dei diplomati e il 13% degli anziani laureati. Il 54% di chi vive in ristrettezze contro il 22% di chi non ha problemi di sorta. Il 38% di chi vive al sud contro il 22% di chi abita al nord.

Sono solo alcuni dei recenti dati che emergono dalla sorveglianza PASSI d’Argento dell’Istituto Superiore di Sanità, punto di riferimento per misurare lo stato di salute della popolazione e quanto gli italiani riescano a fare prevenzione. Sono stati pubblicati i dati relativi al biennio 2021-22.

Quanti sono gli anziani in difficoltà

Il 10% dei 65-74 anni sono fragili, come il 21% dei 75-84 enni e il 35% degli over 85, oltre un quarto di chi ha solo un titolo di studio elementare, il 15% di chi ha la licenza media, il 10% dei diplomati e l’8% dei laureati. E ancora, come il 25% di chi ha molte difficoltà economiche, il doppio di chi non ne presenta. Un fragile è definito come una persona con 65 anni o più, residente in Italia, che dichiara di avere problemi a svolgere in maniera autonoma 2 o più attività strumentali della vita quotidiana ma è completamente autonomo in tutte le funzioni fondamentali della vita quotidiana, come mangiare, vestirsi, lavarsi, spostarsi da una stanza all’altra, essere continente, usare i servizi igienici per fare i propri bisogni.

Una persona su quattro con più di 65 anni oggi ha più di una malattia cronica (che significa anche tre o quattro) con una prevalenza che aumenta al crescere dell’età: riguarda il 17% delle persone 65-74enni e il 38% degli over 85.

Ma soprattutto – lo diciamo spesso su Infodata – a parità di età i meno abbienti hanno meno malattie croniche. Ha più di 2 patologie il 37% di chi ha difficoltà economiche e il 18% di chi non ne ha; il 31% di chi ha bassi livelli di istruzione contro il 20% dei laureati. Non si registrano invece differenze per genere. Nel complesso 28 intervistati su 100 riferiscono di convivere con una cardiopatia, il 17% con una malattia respiratoria, il 21% con il diabete e il 14% con un tumore.
Basterebbero questi dati per capire quanto la prevenzione – mangiare bene, non essere sedentari, controllare il peso, non fumare – sia cruciale nell’invecchiamento in salute.

A 6 ultra 65enni su 10 nel corso della vita un medico ha già diagnosticato una o più patologie tra le seguenti: insufficienza renale, bronchite cronica, enfisema, insufficienza respiratoria, asma bronchiale, ictus o ischemia cerebrale, diabete, infarto del miocardio, ischemia cardiaca o malattia delle coronarie, altre malattie del cuore, tumori (comprese leucemie e linfomi), malattie croniche del fegato o cirrosi.

E il COVID?

Se si guardano i dati così come sono si nota che la prevalenza di patologie croniche fra gli ultra 65enni negli anni della pandemia è diminuita. Nel 2020 si è registrata un’inversione di tendenza: si riduce la quota di persone fra gli intervistati che riferiscono diagnosi di patologie croniche la quota di persone con cronicità passa dal 62% del 2019 a meno del 59% del 2022.
Non si può escludere che questa riduzione sia associata all’eccesso di mortalità correlata al COVID-19 che nel nostro Paese ha colpito in particolar modo le persone più anziane e vulnerabili per condizioni di salute. Tuttavia- rilevano gli autori – è anche vero che, l’emergenza sanitaria legata al COVID-19 e la rinuncia alle visite e controlli medici per timore del contagio o per sospensione di alcuni servizi sanitari siano state causa di ritardi o mancate nuove diagnosi di patologie croniche almeno fra le persone meno anziane nella fascia d’età 65-74 anni.
Si è scelto di fornire un aggiornamento al biennio 2021-2022 e non di quadriennio, come invece è stato fatto in passato. In questo modo, per ogni indicatore di ciascuna tematica si disporrà di analisi relative al periodo pre-pandemico, depurate da impatto pandemia (la più recente disponibile resterà riferita al quadriennio 2016-2019) e di una prima fotografia riferita alla fase pandemica 2020-2021, più impattante su molti aspetti della vita dei cittadini, e una seconda fotografia riferita ad una fase successiva della pandemia, biennio 2021-2022, con un impatto mitigato dalla disponibilità dei vaccini e dell’estensione della campagna vaccinale con un ritorno verso la normalità di delle attività economiche, lavorative e sociali.

Per approfondire. 

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