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economia

Un paper scientifico serio ogni 5 giorni non è umano. Eppure in medicina va così

Publish or perish: lo sappiamo tutti di che cosa si tratta. Nel sistema accademico odierno vince chi pubblica di più e nelle riviste più quotate. Se non pubblichi, perisci dal punto di vista della carriera da ricercatore o ricercatrice. Ogni rivista e ogni ricercatore ha un punteggio – l’impact factor – che ne misura la “popolarità” in termini di impatto dei risultati scientifici: più è alto più ci agevola in un concorso pubblico, o in un’assunzione.

Della deriva di questo sistema perverso, che finisce per favorire la rapidità alla qualità della ricerca pubblicata, se ne parla molto (basta fare una ricerca per parole chiave nei principali motori di ricerca di paper scientifici), ma le cose stanno peggiorando. Rispetto a un decennio fa, i ricercatori che pubblicano più di 60 articoli all’anno sono quadruplicati. Già cinque anni fa Nature pubblicava un articolo che sollevava il numero crescente di autori che pubblicavano almeno un articolo scientifico a settimana. Nel 2016 si contavano 387 ricercatori (esclusi i fisici) che pubblicavano tantissimo, l’equivalente di un articolo ogni cinque giorni. Nel 2022 se ne contano 1266. Un aumento sconcertante di macchine da articoli scientifici, prevalentemente in ambito biomedicale.

Questi dati provengono da un articolo di qualche giorno pubblicato su Nature a firma di Gemma Conroy. Si basa sui risultati pubblicati a dicembre scorso da John Ioannidis e colleghi (Ioannidis è un nume tutelare della ricerca biomedica) in pre-print su biorxiv che titola Evolving patterns of extremely productive publishing behavior across science.
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Il team ha esaminato i lavori, incluse abstract presentati a conferenze, indicizzati nel database Scopus negli ultimi vent’anni, tra il 2000 e il 2022. Sono stati esclusi i fisici perché le pratiche di authorship in questo campo – si legge – differiscono da quelle di altre materie.
La fetta più grossa di questi ricercatori superproduttivi nel 2022 lavora in medicina. Sono stati identificati infatti 700 di questi ricercatori, anche se i campi con la più rapida crescita di ricercatori che pubblicano molto sono risultati essere l’agricoltura, la pesca e la silvicoltura. In questi settori nel 2022 i ricercatori superproduttivi sono 14,6 volte quelli del 2016.

Italia in testa

A noi interessa in modo particolare questo fenomeno perché l’Italia è risultata uno dei paesi con la più rapida crescita di pubblicazioni negli ultimi 5 anni. Viene da chiedersi – ma i dati non sono presenti nel pre-print – quanto pesino gli articoli riguardanti COVID-19 per il nostro paese, dato che il boom italiano si è registrato prevalentemente a partire dal 2020.

I paesi con il maggior numero di autori super produttivi sono stati la Cina (n=303), gli USA (n=124), l’ Arabia Saudita (n=69), l’Italia (n=62), la Germania (n=58), l’India (n=51), il Regno Unito (n=47), l’Australia (n=47), il Giappone (n=35), il Canada (n=28). Rispetto al 2016, la maggior parte dei Paesi ha registrato un aumento significativo nel numero di questi autori: in Thailandia l’aumento è stato di 19 volte, in Arabia Saudita di 11,5 volte, in Spagna di 11,5 volte, in India di 10,2 volte, in Italia di 6,9 volte.

Se consideriamo i ricercatori che pubblicano almeno 5 articoli l’anno, notiamo che in Italia lo 0,5%, cioè uno su 200, nel pubblica almeno uno a settimana. Siamo uno dei paesi dove questa proporzione è più elevata con 1.200 ricercatori super attivi su un totale di 249.100 . Più di noi solo la Svizzera (823 ricercatori che pubblicano tantissimo su 81.045 totali, cioè l’1%). La Germania è come noi con 1.791 “super pubblicatori” su 370.960 ricercatori attivi complessivi, ossia 0,5%.

Sono considerati qui solo i Paesi con più di 50.000 autori con almeno 5 articoli completi Tuttavia, questo dato è stato determinato – come si accennava – dalla forte partecipazione di questi Paesi ai lavori multi-autore nell’ambito della fisica. Esclusi i fisici, tra i Paesi con più di 5.000 autori con almeno 5 articoli pubblicati, la percentuale più alta di “super-pubblicatori” tra tutti gli autori è stata osservata in Arabia Saudita (98 su 27.588 autori, 0,36%), seguita dall’Iraq (13 su 249.100, 0,5%). 36%), seguita da Iraq (13 su 10.485, 0,12%), Malesia (52 su 43.918, 0,12%), Emirati Arabi Uniti (9 su 8.059, 0,11%), Filippine (6 su 5.531, 0,11%) e Pakistan (33 su 32.529, 0,10%).

Money money money, must be funny

Perché accade tutto questo? L’articolo di Nature si focalizza sulla situazione della Tailandia, individuando una delle possibili cause di questo fenomeno nel sistema di finanziamento della ricerca del Paese, che è passato a favorire i grandi gruppi interdisciplinari anziché i piccoli gruppi, rendendo più facile per i ricercatori inserire il proprio nome in un maggior numero di pubblicazioni. Un altro fattore che contribuisce – si legge – potrebbe essere l’attenzione della Thailandia per le classifiche universitarie, che si basano su numeri e metriche di pubblicazione. Molte università del Paese utilizzano incentivi in denaro per incoraggiare i ricercatori a pubblicare su riviste di rilievo. Se i ricercatori giocano bene le loro carte, possono guadagnare fino a 1 milione di Baht (corrispondenti a circa 28.000 dollari) all’anno solo grazie alle pubblicazioni.

Anche in Arabia Saudita ci sono dinamiche interessanti. Come riportava un articolo apparso sempre su Nature a maggio 2023, le università saudite invogliano i migliori scienziati a cambiare affiliazione per aumentare la loro posizione nelle classifiche universitarie globali, a volte in cambio di denaro.

Dove sta il problema

Il meccanismo è oliato. I “super-pubblicatori” sembrano godere di un elevato successo in termini di impatto citazionale, soprattutto se si considera il numero di citazioni grezze. Il 44% degli autori più citati in ambito scientifico in termini di citazioni grezze sono proprio questi ricercatori. Oltre al volume di pubblicazioni, spesso questi ricercatori si firmano come ultimo autore dello studio, posizione lasciata ai nomi più influenti. Un circolo che si autoalimenta usando pratiche poco oneste, come spiegato dallo stesso Ioannidis e da Zacharias Maniadis in un lavoro uscito per Springer nel novembre 2023. Si tratta di una situazione tipica di alcuni campi, come la medicina clinica, in cui i leader dei dipartimenti acquisiscono il posto di autore senior, spesso con contributi di ricerca discutibili. Insomma, data l’elevata visibilità e l’impatto percepito, è probabile che molti di loro esercitino anche un’elevata influenza nel loro ambiente e influenzino il corso della scienza nelle loro istituzioni e nei loro campi.