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cronaca

Satelliti e immagini ad alta risoluzione delle zone a rischio inondazione. Le mappe dell’Enea

Modelli ad alta risoluzione, tecnologie satellitari e rilievi sul campo per mappare le aree costiere a rischio inondazione. È il lavoro realizzato dai ricercatori dell’Enea che, sino a oggi, hanno mappato le aree di  Follonica-Piombino e Marina Di Campo in Toscana, Fertilia-Alghero in Sardegna e Parco Nazionale del Circeo (Latina-Sabaudia) nel Lazio, mentre sono in via di definizione quelle dei litorali della Spezia, Roma, Napoli, Brindisi, Taranto e Cagliari.

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Il nuovo servizio di mappatura, come sottolineano dall’Enea, «intende fornire a decisori pubblici e pubbliche amministrazioni centrali e locali le tendenze evolutive del territorio, in modo da pianificare le strategie di adattamento al cambiamento climatico», ossia «la capacità di adottare misure adeguate a prevenire o ridurre al minimo i danni e gli effetti avversi dei cambiamenti climatici».

«I risultati dei nostri studi – chiarisce Sergio Cappucci del Laboratorio Tecnologie per la dinamica delle strutture e la prevenzione del rischio sismico e idrogeologico  dell’Enea – hanno dimostrato che entro la fine del secolo, i beni maggiormente esposti al rischio di inondazione sono le zone umide, le aree di retrospiaggia e retroduna e alcune infrastrutture marittime». C’è poi un altro aspetto, che riguarda le zone umide dove «il rischio di inondazione rispetto all’attuale livello medio del mare è dovuto alla bassa quota e alla subsidenza, mentre per le infrastrutture costiere come porti, opere di difesa, moli, casse di colmata, la causa sembra riconducibile al naturale affondamento sul fondo marino».

 

L’attività portata avanti dai ricercatori passa attraverso tre fasi. Nella prima «grazie all’utilizzo dei modelli digitali del terreno di alcune delle piattaforme nazionali ed europee (come il Portale Cartografico Nazionale per i modelli digitali e il programma Copernicus per i movimenti verticali della superficie terrestre)», si individuano le aree costiere «che nei prossimi decenni saranno più vulnerabili alle variazioni del livello del mare». C’è poi un secondo step che riguarda la  valutazione approfondita delle categorie di beni più esposte alle inondazioni. Infine la terza fase che prevede un’attività sul campo. E quindi misure, campionamenti, datazioni e rilievi geologici che «consentono di migliorare la qualità dei dati e dei modelli digitali della superficie terrestre». Non solo, grazie all’attività sul campo c’è la possibilità di individuare le diverse componenti che contribuiscono agli scenari indicati nelle mappe di inondazione e che i satelliti non sono ancora in grado di rilevare singolarmente, subsidenza, carico e compattazione dei sedimenti litosferici, aggiustamento glaciale e variazioni delle falde acquifere conseguenti allo sfruttamento delle risorse idriche.

«Grazie alla disponibilità di Modelli Digitali Terrestri del periodo 2008-2012 con dati ad altissima risoluzione per quasi tutto il territorio nazionale (da 5x5m fino a 1x1m) – sottolineano Gaia Righini e Lorenzo Moretti della Divisione modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali dell’Enea -, siamo in grado di effettuare analisi preliminari su vaste porzioni di territorio, in tempi relativamente brevi». Non è tutto. Come sottolinea Roberto Iacono, del Laboratorio di Modellistica climatica dell’agenzia di ricerca «nelle proiezioni di aumento del livello del mare dell’IPCC mancano i dettagli regionali che sono fondamentali per lo studio di un’area così ‘speciale’ come quella del Mediterraneo». E in questo contesto, proprio il nuovo approccio «consente di valorizzare gli sforzi che la comunità scientifica ed europea stanno facendo per condividere piattaforme di dati e informazioni ambientali e per realizzare un servizio climatico open access ad alta risoluzione, con scenari sempre più affidabili e realistici, al fine di valutare gli impatti futuri del cambiamento climatico e pianificare opportune strategie di prevenzione e adattamento».