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cronaca

Pomodori, verdure e frutti. In un grafico chi fa cosa – Parte 2

Chi produce più pomodori? Stando ai dati forniti con visibilità fino al 2021, emerge un quadro in cui la Cina spicca su ogni altro paese come dimostrano gli oltre 67 milioni di tonnellate prodotte nel solo ultimo anno registrato rispetto ai poco più di venti milioni di tonnellate prodotti dall’India, classificatisi al secondo posto, ed i tredici della Turchia che chiude in terza posizione.

Giusto per mettere in prospettiva come la richiesta globale abbia innalzato incredibilmente il volume complessivo della produzione di questo ortaggio da frutta, basti pensare che gli Stati Uniti hanno prodotto 595 milioni di tonnellate nei sessant’anni analizzati, valevoli del secondo valore assoluto, ma negli ultimi anni – come il 2021 – non si sono mai lontanamente avvicinati a quanto fatto registrare dalla Cina.

Per trovare una sorta di pareggio tra queste due nazioni leader bisogna tornare indietro di circa venticinque anni, a metà degli anni novanta quando nel 1994 – per la precisione – si è registrata l’ultima produzione che vedeva gli Stati Uniti davanti alla nazione asiatica, sebbene per appena 0,2 milioni di tonnellate (12,2 contro 12), prima che il divario cominciasse sensibilmente negli anni successivi (+1,4 milioni nel 1995, +3,6 nel 1996, diventati poi +9,7 nel 2000).

Come appare evidente dal grafico ad area, sembra che gli Stati Uniti si siano stabilizzati su una produzione annuale che oscilla tra i dieci ed i quindici milioni di tonnellate, mentre la Cina ha fatto segnalare un incremento particolarmente evidente a partire dal nuovo millennio (22 milioni) e che nell’arco di appena vent’anni ha saputo triplicarsi.

Sebbene anche il resto del mondo abbia visto un deciso rialzo nel medesimo periodo, partendo dai 74 milioni di tonnellate del 2000 fino ai 111 milioni del 2021, l’incremento percentuale del 50% non è assolutamente in grado si stare al passo con un fattore x3 del leader globale.

L’unico paese capace di reggere i ritmi di crescita della Cina è stata l’India che dai 7,4 milioni di tonnellate del 2000 è riuscita a raggiungere i 21 milioni del 2021 per una variazione sul periodo pari al 185%.

Ad ogni modo, a prescindere dai diversi ritmi delle nazioni che contribuiscono alla maggior parte della produzione mondiale, si può tranquillamente affermare che il pomodoro sia una coltivazione particolarmente duttile e che ben si adatta a qualunque latitudine e longitudine, coprendo almeno cinque continenti se si considerano i primi venti paesi su tutto il periodo, con la sola eccezione del continente oceanico.

E l’Italia? Nel quadro complessivo c’è anche un contributo decisamente importante da parte dell’Italia che nell’arco dei sessant’anni esaminati chiude in quinta posizione assoluta a fronte di poco meno di 313 milioni di tonnellate prodotte, conservando una produzione mai inferiore ai quattro milioni annui a partire dal 1979 e che è riuscita a toccare valori quasi doppi negli anni al confine del terzo millennio, fino ad assestarsi tra i cinque ed i sette milioni degli ultimi anni.

Nonostante l’Italia sia ai primi posti sia su scala globale che, a maggior ragione, a livello di Unione Europea, è curioso che il nostro paese risulti come uno dei maggiori importatori di concentrato di pomodoro cinese.

La spiegazione di questo apparente controsenso risiede nel fatto che il derivato proveniente dalla Cina non viene immesso sul mercato nazionale – come spiega l’Anicav (associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali) – ma utilizzato principalmente come materia prima in regime di temporanea importazione da parte di aziende che la ritrasformano e lo riesportano al di fuori dell’Unione europea (in special modo Africa).

I pomodori italiani invece, a fronte della loro elevata qualità, vengono impiegati per la commercializzazione di pelati, passati e polpe che nulla hanno in comune con il semilavorato importato dall’estero, in primis per i costi di lavorazione del pomodoro fresco italiano decisamente più alti che renderebbero impossibile una competizione sostenibile a prescindere dalla qualità.

Per approfondire. 

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