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politica

Abbiamo il 15% di volontari in meno rispetto al 2015: 8 ogni 100 italiani.

 

Nel 2021 4,6 milioni di persone, cioè 790 volontari per 10 mila abitanti, hanno svolto una qualche forma di volontariato in una delle 261 mila istituzioni no profit censite da Istat. In realtà le istituzioni no profit (INP) sono 363 mila, ma non tutte si avvalgono di volontari. I dipendenti di queste INP invece sono 870 mila. Molti molti meno, dunque, dei volontari, che sono sempre più un pilastro delle attività che offrono servizi alla collettività, che si tratti di assistenza socio sanitaria, che di offerta culturale o sportiva. In realtà il numero di volontari – in un rapporto uomini-donne di 6 a 4 – è calato del 15% rispetto alla rilevazione Istat del 2015, tranne nelle regioni del Sud. Prevalgono nella distribuzione sul territorio le regioni settentrionali, insieme a quelle centrali con 1.165 volontari per 10mila abitanti nel Nord-est, 892 nel Centro e 887 nel Nord-ovest. Nel Sud e nelle Isole si rilevano rispettivamente 492 e 509 volontari per 10mila abitanti. Rispetto al 2015 è cresciuta l’incidenza delle INP di piccolissime dimensioni, con uno o due volontari (11,4% nel 2021, a fronte del 7,9% nel 2015) e cresce anche la quota dei volontari delle istituzioni di dimensioni medio-grandi (29,7% di volontari a fronte del 27,4% nel 2015).

Le istituzioni che operano grazie al contributo dei volontari e i volontari stessi si concentrano nei settori delle attività culturali e artistiche, sportive, ricreative e di socializzazione, che insieme aggregano il 65,2% delle istituzioni con volontari e il 54,5% dei volontari. Seguono i settori dell’Assistenza sociale e protezione civile (con il 10% di istituzioni e il 14,7% di volontari) e quello della Sanità (con il 4,4% di istituzioni e il 9,8% dei volontari). Il 6,5% dei volontari presta invece la propria attività in istituzioni non profit a carattere religioso.

Oltre la metà degli enti no profit si avvale di meno di 10 volontari, l’11,4% addirittura meno di due. Conta invece su un numero cospicuo di volontari (50 e più) il 6,4% delle istituzioni rilevate concentrando il 40,1% dei volontari rilevati.

Sono i dati resi noti da Istat – seppur ancora provvisori, i definitivi usciranno alla fine del 2023 – nella Rilevazione multiscopo legata al Censimento permanente delle istituzioni non profit (INP), che ha coinvolto un campione di 110 mila unità. L’85% delle INP sono associazioni, il 4,1% sono cooperative sociali, mentre il 2,3% sono fondazioni. La distribuzione dei dipendenti per forma giuridica permane piuttosto eterogenea, con il 52,9% impiegato dalle cooperative sociali e quote che si attestano al 19,6% nelle associazioni e al 15,3% nelle INP con altra forma giuridica. È al nord che si concentra Sebbene a partire dal 2018 siano cresciute di più nel Mezzogiorno, le INP presentano una distribuzione territoriale piuttosto concentrata: oltre il 50% è attivo al Nord, il 22,2% al Centro, il 18,2% e il 9,4% rispettivamente al Sud e nelle Isole. In riferimento ai dipendenti la concentrazione territoriale è anche più evidente: per il 57,2% sono impiegati nelle regioni del Nord contro il 20,0% del Mezzogiorno.
In un caso su tre si tratta di INP sportive, seguono i settori delle Attività culturali e artistiche (15,9%), delle Attività ricreative e di socializzazione (14,3%), dell’Assistenza sociale e protezione civile (9,9%).

Il 13% delle istituzioni no profit oggi si occupa di disagio sociale, un numero in forte calo rispetto al 2015, quando si toccava quota 21% del totale. Parliamo di servizi a persone senza dimora o con disagio abitativo, con disabilità fisica, psichica, sensoriale e/o relazionale, a persone affette da patologia psichiatrica o con dipendenze patologiche (alcolisti, tossicodipendenti, ludopatici), con comportamenti devianti (inclusi bullismo e vandalismo). Ma anche a immigrati e minoranze etniche, a malati in fase terminale a persone detenute e/o ex detenute.Queste INP si concentrano in particolare su tre settori di attività: il 36% è attivo nella cultura e nello sport, un altro 35% nell’assistenza sociale e protezione civile, l’8,9% nel settore sanitario.