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Resistenza ai farmaci. I fattori socioeconomici contano più dei consumi

È sempre più chiaro che il fenomeno della resistenza ai farmaci dovuta alle quantità di consumo di antibiotici negli allevamenti o direttamente dall’essere umano, ha dinamiche complesse con fattori che finora sono stati sottovalutati. Il dato di fatto è che in alcune regioni del mondo in cui il consumo di farmaci antimicrobici è basso i tassi di resistenza sono comunque molto elevati. La crescente prevalenza della resistenza antimicrobica è un onere economico e sanitario significativo a livello globale. Sarebbero 1,27 milioni i decessi attribuiti a infezioni da batteri resistenti agli antimicrobici nel mondo, anche se fare stime di questo tipo è delicato.
Le ragioni che portano un sistema a usare molti antibiotici, e quindi i batteri e funghi a diventare resistenti alle terapie, rendendole inefficaci, dipendono strettamente da fattori socioeconomici. Se è vero che consumare molti antibiotici aumenta con il tempo la resistenza dei batteri agli stessi (ne parlavamo qui con Antonia Ricci), il consumo indiscriminato di antibiotici sembra sempre più essere fattore secondario nel determinare il rischio di resistenza antimicrobica. I fattori socioeconomici sembrano svolgano un ruolo decisamente più significativo nell’aumento della resistenza nei patogeni umani e degli animali da produzione alimentare.

È quello che descrive un recente studio pubblicato sulla rivista The Lancet Planetary Health, il quale ha studiato le associazioni tra diversi indicatori socioeconomici, ambientali e antropogenici e i tassi di resistenza antimicrobica a livello nazionale negli esseri umani e negli animali da produzione alimentare. I dati per gli esseri umani coprivano gli anni tra il 1998 e il 2017, mentre quelli per gli animali da produzione alimentare erano disponibili dal 2000 al 2015.
Anzitutto le coppie farmaco-patogeno che presentavano le maggiori probabilità di resistenza erano Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter baumanii (come batteri) e i carbapenemi e le cefalosporine (come classe di anibiotici).

In sintesi la povertà aumenta i fenomeni di resistenza. Alcuni fattori sono risultati essere correlati con un maggiore rischio di resistenza: l’indice GINI, che misura la distribuzione del reddito tra la popolazione di un paese, e le condizioni igienico-sanitarie. Entrambi questi fattori sono risultati positivamente associati ai tassi di resistenza antimicrobica umana, mentre la prescrizione e le vendite di antibiotici e il PIL sono stati associati negativamente ai tassi di resistenza antimicrobica, ossia non sembrano essere associati da soli a un maggiore rischio di resistenza.
Gli indicatori di governance sono risultati collegati alla maggiore resistenza antimicrobica sia negli animali che nell’uomo. Sono state trovate associazioni negative significative con lo stato di diritto (animale), la qualità normativa (a priorità per l’OMS), e il controllo della corruzione (a priorità critica per l’OMS). Queste associazioni sono probabilmente spiegate dalla diffusione incontrollata di batteri resistenti che può verificarsi in contesti in cui i servizi igienico-sanitari sono inadeguati e l’accesso all’assistenza sanitaria è ridotto.

Quello presentato in questo studio è il database sulla resistenza agli antimicrobici più onnicomprensivo mai pubblicato.
I dati raccolti sull’antibiotico resistenza provengono dal Center for Disease Dynamics, Economics and Policy (CDDEP), dal Global Antimicrobial Resistance and Use Surveillance System, dalla Pan American Health Organization, ResistanceBank e articoli pubblicati. Le variabili indipendenti includevano dati sul consumo di antibiotici (dal CDDEP), ma anche indicatori socioeconomici, ambientali e antropologici su dati della Banca mondiale, dell’OMS e di altri database delle Nazioni Unite. I modelli usati in questo studio hanno esaminato le associazioni a livello nazionale tra i tassi di resistenza nell’uomo e negli animali e molte di queste variabili. Per la prima volta, sono state identificate associazioni bidirezionali globali di consumo di antibiotici e resistenza tra esseri umani e animali, cristallizzando la necessità di un inquadramento multisettoriale di questo problema per produrre finalmente degli interventi ottimali.

Interessante è anche la bidirezionalità del fenomeno che è emersa: lo sviluppo della resistenza antimicrobica nei patogeni umani “critici” è risultata connessa al consumo di antimicrobici negli animali da produzione alimentare, ma anche viceversa.

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