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Quali sono le economie più innovative al mondo? Scopriamo cosa misura il Global Innovation Index

“L’innovazione è l’argomento centrale della prosperità economica”. Ecco cosa sosteneva Michael Porter, tra gli economisti di riferimento in ambito strategico e manageriale. Una chiave di lettura che, bisogna dirlo, incalza quanto sta accadendo alle economie globali negli ultimi decenni. Si pensi, ad esempio, a come gli investimenti in ricerca e sviluppo, da inizio secolo ad oggi, abbiano raggiunto una quota intorno ai 2,4 mila miliardi di dollari. Non solo, mentre un tempo (negli anni sessanta) tali investimenti furono maggiormente profusi in Paesi di forte industrializzazione, oggi si nota un cambio di rotta e una più felice suddivisione delle capacità innovative. Infatti, nel 1960, il 70% della spesa globale in ricerca e sviluppo avveniva negli Stati Uniti. Nel 2020 la quota del nuovo continente si è notevolmente ridotta al 30%. Questo, va detto, non tanto per una propria riduzione di investimenti, bensì per una dinamica globale che ha visto grandi e piccoli Paesi (anche piccolissimi, come vedremo) affacciarsi all’idea dell’innovazione come “argomento centrale di prosperità”.

Ma quali sono le economie più innovative al mondo? E com’è messo, in termini innovativi, il nostro Paese? Guardiamo al  Global Innovation Index  per scoprirlo.

Misurare il livello di innovazione di un Paese, in un dato momento storico, non è un lavoro da nulla. Tuttavia, il Global Innovation Index tiene in considerazione ben 81 differenti indicatori, raggruppati in 7 macro-categorie, e cioè: Business Sophistication (a quanto ammonta la spesa delle imprese in ricerca), Market Sophistication (la dimensione dell’economia e della concorrenza nel mercato locale), Infrastructure (e quindi presenza di strade, scuole, ospedali, eccetera), Human Capital & Research (intesa anche come istituzioni scientifiche e di ricerca), Institutions (stabilità politica e sicurezza, facilità di avviare un’impresa), Creative Outputs (il valore dei brands e il riconoscimento degli stessi), Knowledge and Technology Outputs (la spesa in software e i brevetti detenuti). Combinando i risultati degli indicatori in tali categorie, si ottiene un quadro complessivo della situazione innovativa, confrontabile tra i Paesi analizzati.

Le economie più innovative

È la Svizzera ad aggiudicarsi il primo posto come economia più innovativa su scala globale. Del resto, cosa mica da poco, questo è il dodicesimo anno consecutivo che soprassiede al gradino più alto del podio. Quali sono gli indicatori che maggiormente contribuiscono a tale risultato? Quelli relativi alle norme sulla proprietà intellettuale vigenti nel Paese, considerate di grande aiuto alle aziende (ed integrate a un forte livello di collaborazione tra università ed industrie).

Al secondo posto ci sono gli Stati Uniti. Un podio meritato, soprattutto dovuto all’enorme spesa in ricerca e sviluppo (parliamo di oltre 700 miliardi di dollari all’anno). Un dato che non stupisce, in fondo, visto che a livello globale, quattro delle cinque principali società che maggiormente investono in R&S sono negli States: parliamo di Amazon (42,7 miliardi), Alphabet (27,6 miliardi), Microsoft (19,3 miliardi) e Apple (18,8 miliardi).

E il terzo posto? Una cugina europea, la Svezia. In questo caso, tra le numeriche più proficue, troviamo gli indicatori relativi alle istituzioni pubbliche.

L’innovazione in Europa (e l’Italia)

Il vecchio continente non se la vede male. Con 15 delle 25 principali economie del mondo, l’Europa viene considerata come un ottimo ecosistema innovativo. Inoltre, nota positiva a nostro favore, gli indicatori relativi al progresso sociale sono tra i migliori al mondo.

Ma ora veniamo a noi. Benché sul piano continentale la situazione sia abbastanza positiva, il nostro Paese si posiziona al ventottesimo posto su scala globale. Prima di noi, a livello innovativo, troviamo Cipro. Inoltre, gli indicatori che hanno inciso negativamente, parlano di una realtà refrattaria al cambiamento, essendo soprattutto riconducibili alle infrastrutture. Possiamo però dire che il Made in Italy ha ancora una volta giocato un ruolo importante, avendo contribuito ad alzare (e di netto) la nostra media.

L’auspicio è che tali numeriche non tardino a mutare nel tempo. Tantopiù perché, essendo le infrastrutture la nota dolente del nostro Paese, ci basterebbe imparare dagli errori commessi in passato. Alcuni indelebili, come il Ponte Morandi.