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economia

Quindici adulti su 1000 assistiti dai servizi psichiatrici. Ma le risorse non bastano

Secondo l’ultimo rapporto ministeriale, nel 2021 sono state assistite dai servizi psichiatrici 778.737 persone (mancano i dati della Regione Calabria) con tassi standardizzati che vanno da 113,7 per 10.000 abitanti adulti nel Lazio fino a 363,2 nella P.A. di Bolzano. La media nazionale è di 158,4 assistiti ogni 10.000 abitanti adulti, cioè 1,5 su 100. Parliamo di persone affette da schizofrenia e altre psicosi funzionali, mania e disturbi affettivi bipolari, depressione, sindromi nevrotiche e somatoformi, disturbi della personalità e del comportamento, alcolismo e tossicomanie, demenze e disturbi mentali organici, ritardo mentale.

Assistiti non significa ricoverati. Il 3,3% degli accessi al Pronto Soccorso è dovuto a patologie psichiatriche: 479.276 accessi. Il 14,6% di queste persone è stata ricoverata dopo il triage, il 72% è stata invece dimessa e lasciata andare a casa. Poco più della metà sono stati accolti nei reparti di psichiatria. I TSO (trattamenti sanitari obbligatori) sono stati 5.538 nel 2021, pari al 7% dei ricoveri in reparto psichiatrico.
I servizi sono pochi rispetto agli utenti. Si contano 329 Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) per un totale di 4.039 posti letto per ricoveri ordinari e 294 posti letto per ricoveri in day hospital. Vi sono solo 18 strutture ospedaliere in convenzione che erogano attività di assistenza psichiatrica per un totale di 764 posti letto per ricovero e 2 posti per day hospital. L’offerta complessiva in Italia di posti letto in degenza ordinaria è di 0,9 ogni 10.000 abitanti maggiorenni. A lavorare in queste strutture sono appena 29.785 persone, e solo il 6,9% di queste persone è psicologo, l’8,6% è educatore professionale o tecnico.

Non sono risorse sufficienti. Il risultato è che le struture psichiatriche ospedaliere possono garantire degenze medie brevi (12,8 giorni di media). Inoltre, con riferimento ai Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, le riammissioni non programmate nei reparti di psichiatria entro 30 giorni dalla dimissione rappresentano il 14% del totale, mentre quelle a 7 giorni rappresentano il 7,7%.

Da dove vengono i dati

I dati provengono dal Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS) per le misure di qualità, efficienza e appropriatezza del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che nel 2010 è stato arricchito dal Sistema Informativo per il monitoraggio e tutela della Salute Mentale (SISM), con l’obiettivo di rilevare le informazioni riguardanti gli interventi sanitari e socio-sanitari erogati da operatori afferenti al SSN, sia nel tracciato territoriale, tracciato residenziale e tracciato semiresidenziale. I dati devono essere inviati al NSIS con cadenza semestrale e essere messi a disposizione entro sessanta giorni dalla fine del periodo di rilevazione. Inoltre il decreto istitutivo sancisce che, a partire dal 1 gennaio 2012 il conferimento dei dati al SISM è ricompreso fra gli adempimenti cui sono tenute le regioni, per l’accesso al finanziamento integrativo a carico dello Stato ai sensi dell’Intesa sancita dalla Conferenza Stato-Regioni il 23 marzo 2005.

E il sommerso?

Questa è solo la punta dell’iceberg. Ce ne occupiamo spesso su Infodata: come misurare la salute mentale. Si tratta di un tema molto complesso da monitorare, perché è un aspetto della salute non sempre semplice da definire e da intercettare. Il malessere per essere misurato deve essere espresso, individuato, diagnosticato, e rientrare in un sistema informativo. E prima ancora devono esserne tratteggiati i contorni. Spesso alcune condizioni non sono ben definite in letteratura. Pensiamo per esempio a una delle “ultime arrivate”: la FOMO (acronimo per “Fear Of Missing Out”), ovvero il timore di essere tagliati fuori, l’idea costante che altri stiano facendo qualcosa di estremamente interessante e che noi ce lo stiamo perdendo. Si tratta di una condizione correlata con la presenza online, generando stress e ansia di non essere connessi proprio nel momento in cui “accade qualcosa”, di perdersi il messaggio fondamentale – che con buona probabilità fondamentale non è.

Si può misurare la salute mentale monitorando la spesa sanitaria, cioè i farmaci come antidepressivi o ansiolitici che vengono venduti. Un altro indicatore sarebbe il numero di persone che si rivolge a uno specialista psicologo o psicoterapeuta, dato estremamente difficile da raccogliere. Sono infatti tutti indicatori parziali per definizione. Quali “utenti” scelgo da monitorare in quest’ultimo caso? Chi si reca dallo specialista per l’ansia? Ma che cos’è l’ansia, ad esempio? La salute mentale è prima di tutto qualcosa di percepito. Forse l’indicatore più interessante sarebbe la “salute percepita”, ovvero condurre sondaggi su un campione davvero ampio e significativo di popolazione per capire quante persone percepiscono un malessere anche se non lo hanno mai riportato al medico, o se non assumono farmaci per questo. Esistono dei dati in merito (come PASSI di Epicentro), ma su campioni ancora tutto sommato esigui di popolazione, e non è semplice rendere questi dati omogenei (la mia ansia è paragonabile alla tua? Come è stata posta la domanda sul benessere percepito?) Inoltre, spesso nei questionari vengono usati termini vaghi come “tanto”, “abbastanza, “spesso” e via dicendo), mentre in letteratura si dovrebbero paragonare i dati solo se raccolti in modo uniforme.