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Quando la narrazione di una tecnologia smette di fare sognare c’è una buona probabilità che in realtà stia già cambiando il mondo

Ci sono decenni di transizione e decenni di fughe in avanti. Queste ultimi sono i più belli da raccontare ma anche da vivere. Anni durante i quali le tecnologie promettono più di quello che possono mantenere. Dove si scommette sul futuro. Con il venture capital che alimenta idee che solo apparentemente sembrano folli, come le auto a guida autonoma, i veicoli volanti, i metaversi. Hai la sensazione che a comandare siano la ricerca e lo sviluppo, il laboratori e i visionari. Pensiamo ai videogiochi negli anni Novanta, quando sono nati i gameplay di successo.

Adesso ci pare tutto uguale, vent’anni fa non era così. Perché ci sono stagioni in cui c’è l’obbligo di innovare o comunque di provare a creare qualcosa di nuovo. Come nel caso dell’anno zero delle criptovalute o quando il Web 3.0 non era un parola d’ordine del marketing ma il tentativo di scardinare dal basso lo strapotere delle piattaforme tecnologiche. Sono transizioni che dettano i tempi dell’innovazione. Servono a tutti: agli ingegneri a capire quando stanno sbagliando, agli startupper per imparare il rischio, ai manager per aggiustare il tiro e anche al mercato perché creano delle attese su quanto di verosimile possa accadere. Articolo integrale su 24+.