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Tre bambini su 100 avrebbero una diagnosi di deficit dell’attenzione (ADHD)

Oggi il deficit dell’attenzione/iperattività (Attention Deficit Hyperactivity Disorder, ADHD) è considerato il più comune disturbo dell’età dello sviluppo. Tuttavia, non è semplice stimare la prevalenza reale dei casi, perché la diagnosi si basa su valutazioni cliniche specifiche e non esiste un database né, come sappiamo, un unico Fascicolo Sanitario Elettronico funzionante a livello nazionale che permetta di raccogliere questo tipo di dato. Ci si affida alle survey. In Italia negli ultimi anni sono stati pubblicati 15 studi in merito, che sono stati confrontati in una revisione del 2018. Risultato: il 2,9% dei 67.838 bambini e ragazzi di età compresa tra 5 e 17 anni, in rappresentanza di 9 delle 20 regione italiane, ha ricevuto una diagnosi di ADHD. Per avere un paragone, il DSM-5 del 2013 (Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) stima una prevalenza di ADHD del 5%, con una preponderanza nei maschi rispetto alle femmine, secondo un rapporto di circa 2 a 1 nei bambini.

L’ADHD è un disturbo neuropsichiatrico con esordio in età evolutiva caratterizzato dalla tre sintomi prevalenti: disattenzione, impulsività e iperattività motoria. La diagnosi di ADHD può richiedere molto tempo ed è necessaria una valutazione multidisciplinare basata sulla presenza di più sintomi, come descritti nelle più recenti versioni del DSM per l’età evolutiva.

Quanti farmaci si assumono?

L’Atlante delle disuguaglianze sociali nell’uso dei farmaci di AIFA (2021)  mostra che in Italia si assumono meno farmaci per l’ADHD: 0,139 DDD (Dosi giornaliere per 100 abitanti) nei maschi e 0,019 DDD per 100 abitanti nelle femmine. Attualmente in Italia le terapie per il trattamento farmacologico dell’ADHD sono autorizzate a partire dai 6 anni di età e sono rappresentate da prodotti medicinali a base dei due principi attivi: il metilfenidato, appartenente alla classe degli psicoanalettici e psicostimolanti, che è considerato a tutt’oggi la terapia farmacologica di riferimento, e l’atomoxetina, un inibitore selettivo della noradrenalina.
I consumi sono più elevati al Nord rispetto al Sud e nei terzili più benestanti rispetto ai gruppi sociali più deprivati. Attenzione però, in queste tabelle il dato sullo status economico riguarda il comune, non le famiglie. Sono i comuni a ricadere in uno dei tre terzili di reddito. “Non tutta la variabilità del tasso di consumo tra aree geografiche e tra livelli di deprivazione è spiegabile con la prevalenza di malattia – spiegano gli autori – altri fattori possono avere un ruolo significativo, quali l’organizzazione dei servizi e copertura in termini di centri prescrittori di neuropsichiatria infantile nelle diverse regioni italiane. […] A livello nazionale, i servizi di neuropsichiatria infantile risultano per numero e dimensioni non omogeneamente distribuiti tra le regioni, con una situazione al Centro-Nord migliore rispetto al Sud”.

Mancano dati recenti sui servizi

Non ci sono elenchi pubblicamente reperibili online di tutti i servizi di questo tipo in Italia. L’ultima indagine in tal senso dell’Istituto Superiore di Sanità sembra risalga al 2017, anche se aveva come focus i Disturbi dello spettro autistico in età evolutiva (se ce ne sono altre più recenti che ci sono sfuggite, segnalatele pure). Questa rilevazione evidenziava come prima criticità del sistema, la mancanza di un sistema informativo e di monitoraggio dedicato ai disturbi neuropsichici dell’età evolutiva, che includesse le informazioni relative ai percorsi di cura effettivamente erogati, alla loro appropriatezza e agli esiti ottenuti. I servizi di NPIA (NeuroPsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) sono composti prevalentemente da strutture territoriali, alle quali si affiancano un numero limitato di Centri di riferimento, strutture semiresidenziali, strutture residenziali e di ricovero. Chiaramente l’organizzazione a la gestione sanitaria in Italia è in mano alle regioni, le quali possono coordinare come meglio credono la propria offerta assistenziale.
Nel complesso nel 2017 si rilevava una rete insufficiente per rispondere ai bisogni delle famiglie. Solo il 6% della popolazione in età evolutiva poteva ricevere l’assistenza di cui necessitava, a fronte di un fabbisogno stimato fino a un 20% di bambini e adolescenti con qualche disturbo neuropsichico dell’età evolutiva. “Non è in genere nota la prevalenza degli utenti trattati nei servizi di riabilitazione – scrivono gli autori – né soprattutto quanti di essi siano contemporaneamente seguiti anche in servizi di NPIA. Nelle situazioni nelle quali è possibile calcolarlo, il numero medio di prestazioni ricevute da ciascun utente è basso, ed è addirittura in diminuzione, con 9 prestazioni medie all’anno per utente contro un atteso di almeno 15. Riesce ad accedere al percorso diagnostico un utente su due che ne avrebbero necessità. Solo uno su tre che avrebbe necessità di ricovero ordinario riesce ad accedere ad un reparto di NPIA. Molti utenti e famiglie restano in lista d’attesa per mesi o addirittura anni, in particolare per quanto riguarda i percorsi terapeutici e riabilitativi e le famiglie si trovano a ricorrere sempre più al privato, con costi rilevanti che in tempi di crisi economica sono sempre meno in grado di sostenere.”