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economia

Milano, nel 2019 le persone che hanno lasciato città sono state circa 3-4mila al mese. Dopo la pandemia?

In un articolo precedente abbiamo guardato agli effetti dell’epidemia su immigrazione e nascite, trovando che essa ha contribuito ad aggravare alcuni problemi strutturali dell’Italia come appunto un numero di nuovi nati già molto basso prima di quanto successo nel 2020.

L’altro grande flusso che determina in che verso va la popolazione di una città è quello composto da chi a un certo punto non fa più parte: o perché emigra, o perché muore. Guardando ancora a Milano, come nel primo articolo, possiamo usare i dati del 2019 per capire cosa succede durante un periodo “normale”, e poi fare il confronto con i cambiamenti portati dalla pandemia.

Nel 2019 le persone che hanno lasciato Milano sono state circa 3-4mila al mese, di cui buona parte diretta verso altri comuni italiani e alcune centinaia invece verso l’estero. Con il lockdown nazionale di marzo 2020 si riduce moltissimo soprattutto il numero di persone che si sposta all’interno dei confini nazionali: se prima erano 2.500-3mila ogni mese poi si riducono prima a 1.500 a marzo, a 950 in aprile. Con le riaperture della primavera 2020 tuttavia i flussi si normalizzano, e nel corso dell’anno i valori risalgono. A novembre 2020 troviamo addirittura un picco, dovuto forse a chi doveva spostarsi qualche mese prima ma si è trovato costretto a rimandare più in là.

A Milano il flusso dei trasferimenti all’estero sembra essere meno sensibile agli effetti della pandemia, e le cancellazioni all’anagrafe appaiono risentirne poco. Una tendenza interessante è invece che durante l’autunno 2021 le emigrazioni da Milano verso l’estero sono calate parecchio fino a raggiungere un minimo a ottobre, ultimo mese per cui sono disponibili dati.

Tuttavia bisogna ricordare che questi non sono i numeri effettivi delle partenze e degli arrivi (che difficilmente si possono conoscere), quanto le comunicazioni alle autorità italiane dei trasferimenti – che a volte possono avere ritardi anche importanti. Se per esempio una persona si trasferisce all’estero può passare anche diverso tempo prima che ne dia comunicazione, ammesso che lo faccia. Nel lungo periodo ci aspettiamo che arrivi e partenze tendano grosso modo a convergere con iscrizioni e cancellazioni all’anagrafe, ma nel breve è bene ricordare che possiamo osservare divergenze.

L’ultimo elemento a incidere sui cambiamenti demografici sono i decessi. Solitamente non si tratta di un fattore che subisce grandi variazioni, e anzi è piuttosto stabile nel tempo. Nel lungo periodo la durata media della vita è aumentata, il tasso di mortalità è sceso, e questo è successo regolarmente per parecchi decenni dalla fine della seconda guerra mondiale. Eppure la pandemia ci ha portato alla più grande crisi di mortalità dai tempi del conflitto, e gli effetti si sono visti naturalmente sia su scala nazionale che locale.

Oltre e cambiare relativamente poco, anno dopo anno, i morti hanno anche un ciclo visibile durante le stagioni. Il periodo invernale porta all’influenza stagionale e a un picco nei decessi, che poi calano per tornare a salire in caso di un’estate particolarmente calda e di eventuali picchi di calore – pericolosi soprattutto per anziani e persone fragili.

A Milano a gennaio 2019 c’erano stati 1.400 decessi, poi calati fino a circa mille nei mesi successivi. Gennaio e febbraio 2020 erano cominciati bene, con un numero di decessi minore rispetto allo stesso periodo del 2019. Con l’arrivo dell’epidemia però gli effetti si fanno sentire, e a marzo troviamo un enorme aumento nei morti, praticamente raddoppiati. I provvedimenti di chiusura riducono i contatti fra le persone, e dunque la probabilità di contagiarsi, portando poi a un’estate con valori di mortalità nella norma.

Nella visualizzazione che segue è possibile cercare il proprio comune e vedere come sono andate le cose.

 

 

In generale, sottolinea l’ultimo rapporto Istat, “il nuovo record minimo delle nascite (405 mila) e l’elevato numero di decessi (740 mila) aggravano la dinamica naturale negativa che caratterizza il nostro Paese. Il deficit di “sostituzione naturale” tra nati e morti (saldo naturale) nel 2020 raggiunge -335 mila unità, valore inferiore, dall’Unità d’Italia, solo a quello record del 1918 (-648 mila), quando l’epidemia di “spagnola” contribuì a determinare quasi la metà degli 1,3 milioni di decessi registrati in quell’anno. Il deficit dovuto alla dinamica naturale è riscontrabile in tutte le regioni, perfino nella provincia autonoma di Bolzano (-256 unità), che negli ultimi anni si è caratterizzata per una tendenza positiva grazie a una natalità più alta della media. Il tasso di crescita naturale, pari a -5,6 per mille a livello nazionale, varia dal -0,5 per mille di Bolzano al -11,2 per mille della Liguria. Le regioni che più delle altre vedono peggiorare il saldo naturale (intorno al 4 per mille in meno rispetto al 2019) sono la Valle d’Aosta (-8,3 per mille) e la Lombardia (-6,6 per mille); solo la Basilicata (-5,8 per mille) e la Calabria (-3,8 per mille) si assestano su valori simili a quelli registrati nel 2019”. Il deficit di nascite rispetto ai decessi, si legge ancora, è tutto dovuto alla popolazione di cittadinanza italiana (-386 mila), mentre per la popolazione straniera il saldo naturale resta ampiamente positivo (+50.584).

 

A livello nazionale i movimenti fra i comuni si sono ridotti molto, per poi riprendersi dopo l’allentamento delle misure. “Le ripercussioni sono state molto più rilevanti sui movimenti migratori internazionali. Il tasso migratorio estero, seppure positivo in tutte le ripartizioni, si riduce in modo consistente rispetto al 2019 (1,5 per mille a livello nazionale nel 2020 rispetto al 2,6 per mille del 2019). Il decremento maggiore si registra nel Nord-ovest (dal 3,5 per mille all’1,8 per mille) mentre le Isole, con lo 0,5 per mille, si attestano su valori simili a quelli del 2019”.