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cronaca

Le donne tendono a ricevere trattamenti più lentamente e con esiti peggiori, per esempio durante un infarto.

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Senza dati disaggregati per genere, nazionalità, status socio economico, qualsiasi mappatura dei servizi sul territorio è parziale perché non individua chi rimane più indietro. Riguardo alle prestazioni sanitarie in ambito cardio-circolatorio questo aspetto è evidente: le donne tendono a ricevere trattamenti più lentamente e con esiti peggiori, per esempio durante un infarto.

A misurare questo fenomeno è Agenas (Agenzia Nazionale per i servizi sanitari regionali) attraverso il Piano Nazionale Esiti (PNE), che misura – appunto – gli Esiti terapeutici di una serie di trattamenti ospedalieri, con i dati disaggregati per Struttura Ospedaliera e Unità Territoriale (ULSS, ASL, AST,…). Per esempio sulla mortalità a 30 giorni per una serie di interventi, e a due anni, ma anche la percentuale di assistiti che hanno ricevuto il trattamento all’interno dei tempi indicati dai vari Percorsi Diagnositico Terapeutici Assistenziali (PDTA) per ogni patologia. Ad esempio in caso di infarto miocardico acuto il trattamento dovrebbe essere garantito con Angioplastica Coronarica Percutanea Transluminale (PTCA), i famosi “stent coronarici”, entro 90 minuti dall’accesso nella struttura di ricovero. Se la PTCA viene effettuata nelle fasi iniziali di un infarto, la mortalità a breve termine del paziente è minore. Il grande database PNE raccoglie anche dati sulle riammissioni ospedaliere a un mese dalla prima dimissione.

Il Rapporto 2021, sui dati 2020, presenta una serie di indicatori per la prima volta disaggregati anche per genere. L’analisi ha evidenziato significative differenze di genere nel ricorso ai servizi sanitari e nei percorsi assistenziali. Con riferimento all’area cardiovascolare, si rileva una minore tempestività di accesso a trattamenti come la PTCA in pazienti con STEMI e una maggiore mortalità, ad esempio a 30 giorni da un intervento di Bypass Coronarico, per le donne rispetto agli uomini, (3% contro 1,6%), anche se c’è una una spiccata variabilità intra e interregionale. Inoltre il bypass aorto-coronarico isolato è di fatto ancora un intervento a forte connotazione maschile: 8 uomini ogni 2 donne operate.

Per l’accesso alla PTCA entro 90 minuti dall’arrivo in ospedale per i pazienti con infarto STEMI si osserva una marcata differenza di genere a svantaggio delle donne, nella gran parte delle strutture presenti sul territorio nazionale: è trattato entro 90 minuti il 40,5% delle donne contro il 53,4% degli uomini. Si osserva tuttavia che i valori tendono ad avvicinarsi se si considerano i pazienti trattati tempestivamente con PTCA sul totale di quelli trattati entro 12 ore dal ricovero. “Questo dato – si legge – sembra suggerire che la principale disparità di genere riguardi il mancato accesso alla procedura che si determina già nei primi momenti della presa in carico presso la struttura. Il risultato è, peraltro, in linea con precedenti studi condotti a livello nazionale e internazionale, che evidenziano tra le altre cose come il trattamento delle patologie cardiovascolari nelle donne sia gravato da maggiore inappropriatezza, ad esempio rispetto alla presa in carico ospedaliera in reparti differenti da quelli di cardiologia.”

La medicina di genere negli ultimi 20 anni ha fatto passi da gigante nel riconoscere che i meccanismi fisiopatologici delle patologie cardiovascolari nella donna e nell’uomo, per esempio sintomi dell’infarto – possono essere diversi. Nel tempo le donne sono state raramente incluse negli studi clinici in ambito cardiologico, con il risultato da una parte che sono meno abituate a riconoscere i sintomi della malattia cardiaca in corso, e che quindi tendono a presentarsi al pronto soccorso in ritardo rispetto all’uomo, ma soprattutto che le protesi come stent e valvole non sono state modellate sulle caratteristiche femminili: massa muscolare cardiaca e volume del cuore e diametro delle arterie inferiori, indipendentemente dalla massa corporea.

Un ultimo aspetto interessante che emerge dai dati PNE è che i volumi di interventi occorsi nel 2020, il primo terribile anno della pandemia, non sono significativamente inferiori rispetto al pre-pandemia. Nel 2020 i volumi di attività per interventi per STEMI sono stati inferiori al 2019, ma il trend era in calo ogni anno dal 2015, e quindi non è stato un aspetto peculiare della pandemia. La mortalità a 30 giorni post infarto è stata grosso modo la stessa. È stata maggiore la proporzione di trattati con angioplastica entro due giorni dalla presa in carico.

È bene notare che questi dati provengono dalle schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) relative agli istituti di ricovero italiani pubblici e privati accreditati, il sistema informativo per il monitoraggio dell’assistenza in Emergenza-Urgenza (EMUR) e l’Anagrafe Tributaria per la verifica dello stato in vita. Al momento sono i migliori dati che abbiamo, ma come si legge nel rapporto – “Auspicabilmente in futuro l’analisi dovrà includere altri flussi, anche nella prospettiva di sfruttare le potenzialità derivanti dall’interconnessione dei dati, essenziale ai fini della valutazione dell’assistenza sanitaria territoriale.” Per esempio con i famosi dati del Fascicolo Sanitario Elettronico, che ancora non sono raccolti e sfruttati come dovrebbero.