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Perché nel 2020 abbiamo usato molti meno antibiotici?

 

La pandemia è sistemica, e si sconfigge anche limitando le co-infezioni, specie ospedaliere. A quasi due anni dall’inizio della rivoluzione Covid, si può iniziare ad avere qualche dato solido sull’impatto della pandemia sul sistema sanitario e salta subito agli occhi il dato sul consumo di antibiotici. Nel 2020 è diminuito di oltre il 15% in tutta Europa rispetto al 2019, un trend in line con quello a cui siamo abituati ad assistere negli ultimi anni, ma decisamente più marcato. Negli ultimi sette anni  si è registrata una costante diminuzione del consumo di antibiotici con valori che sono passati da 19,7 DDD nel 2014 alle 13,9 DDD nel 2020, che significa che nel 2020 abbiamo utilizzato il 21,7% di antibiotici in meno rispetto al 2019 e la spesa pro capite è scesa del 17,6%. Il dato europeo lo riporta l’ECDC  , mentre quello italiano è contenuto nell’annuale rapporto di AIFA  Rapporto Nazionale OsMed 2020 sull’uso dei farmaci in Italia  , uscito a luglio 2021.

Il motivo per cui è importante parlare di questo argomento è che l’antibiotico resistenza, cioè la diffusione di ceppi batterici resistenti, dovuta all’uso continuo degli antibiotici,  è un problema globale enorme oggi per la sanità pubblica, perché incide sulla capacità di frenare le numerose infezioni ospedaliere che colpiscono in modo anche molto grave pazienti già fragili. In epoca di COVID19 questo problema non è trascurabile. Il tasso di resistenza alla ciprofloxacina per esempio un antibiotico comunemente usato per trattare le infezioni del tratto urinario, varia, a seconda del Paese considerato, dall’8,4% al 92,9% per Escherichia coli e dal 4,1% al 79,4% per Klebsiella pneumoniae, un batterio intestinale comune che può causare infezioni potenzialmente letali e una delle principali cause di infezioni acquisite in ospedale ed è responsabile di polmoniti, infezioni del flusso sanguigno, infezioni nei neonati e nei pazienti in unità di terapia intensiva.

 

Antibiotico-resistenza e COVID

A pagina 399-400 del rapporto AIFA si trovano i dati dettagliati sul consumo di Antibiotici per uso sistemico dal 2014 al 2020, misurato in termini di DDD/1000 abitanti die pesate, ovvero dosi giornaliere definite (DDD) per 1000 abitanti al giorno, che è l’indicatore usato a livello internazionale per misurare i consumi dei farmaci e che si basa sui dati di diversi flussi informativi di spesa disponibili che consentono di ricomporre l’assistenza farmaceutica in ambito territoriale e ospedaliero, sia a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che tramite l’acquisto privato da parte del cittadino.

Non tutti gli antibiotici sono stati meno utilizzati. Il sottogruppo che ha registrato il maggior incremento, sia in termini di spesa che di consumo, è quello delle altre cefalosporine e penemi, che include principi attivi di più recente commercializzazione (ceftolozano/tazobactam, ceftobiprolo, ceftarolina).

L’azitromicina  ha registrato un incremento dell’11,5% rispetto al 2019, mentre la claritromicina ha evidenziato una riduzione superiore al 30%. L’aumento dei consumi di azitromicina potrebbe essere spiegato dall’uso di questo farmaco per il trattamento delle sovrainfezioni batteriche nei pazienti affetti da COVID-19. Lo Staphylococcus aureus per esempio, agente che prevalentemente causa infezioni ai tessuti molli, è frequentemente resistente all’azitromicina.

Anche il consumo dei Carbapenemi, antibiotici di ultima linea (vedi sotto), è cresciuto del 15,5%. La resistenza a questa classe di farmaci è pericolosa, specie per le infezioni ospedaliere da enterobatteri, molto comuni.

 

I ceppi resistenti nel 2020

Forse non tutti sanno che l’Italia ha un Piano Nazionale di Contrasto dell’Antibiotico Resistenza (PNCAR)  , un Piano d’Azione globale One Health proposto dall’OMS con durata triennale (2017-2020). Il piano prevedeva che dal 2016 al 2020 riuscissimo a vedere una riduzione dei consumi maggiore del 10% in ambito territoriale e una riduzione dei consumi del 5% in ambito ospedaliero. Ci siamo quindi, ma non basta.

La Surveillance of antimicrobial resistance in Europe 2020 , pubblicata il 18 novembre 2021 dall’ECDC riporta nero su bianco che nonostante una forte diminuzione del consumo di antibiotici non si sono osservate altrettanto grandi variazioni nelle percentuali di resistenza antimicrobica. Per E. coli, c’è stata una maggiore diminuzione delle percentuali di resistenza a aminopenicilline e cefalosporine di terza generazione in l’UE/SEE nel 2020 rispetto a ogni anno durante il periodo 2016-2019. Per alcune altre combinazioni di specie batteriche-gruppo antimicrobico, ci sono stati al contrario grandi aumenti in percentuali di resistenza antimicrobica tra il 2019 e il 2020, sebbene una tendenza costante all’aumento nel periodo 2016–2020 sia stata segnalata solo per la resistenza ai carbapenemi in K. pneumoniae.

 

 

Quanto ne sanno gli italiani?

Nel 2020 è stata realizzata la survey “Gli italiani e gli antibiotici: informazione, utilizzo e consapevolezza del fenomeno dell’antibiotico-resistenza” dalla quale è emerso che le conoscenze sono scarse. Il 47% degli intervistati è a conoscenza del fatto che gli antibiotici non vadano usati per curare le infezioni causate da virus. Il 68% sa che gli antibiotici non servono quando la febbre causata da raffreddore o influenza aumenta o per guarire prima da queste malattie.