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politica

COP26, gli scenari di McKinsey e trent’anni di emissioni di CO2

Se si superano 1,5 gradi di riscaldamento dai livelli pre-industriali, nel prossimo decennio quasi metà della popolazione mondiale sarà esposta al rischio di ondate di calore, siccità, inondazioni o carenza d’acqua, contro il 43% a rischio oggi. Lo sostiene una ricerca di McKinsey & Company presentata alla Cop26 di Glasgow, nella giornata dedicata all’adattamento ai cambiamenti climatici. Secondo il rapporto, in questo scenario le zone sottoposte ad ondate di calore potrebbero registrare temperature che renderebbero impossibile lavorare all’esterno nel 25% delle ore lavorative di un anno.

In uno scenario peggiore, di 2 gradi sopra i livelli pre-industriali al 2050 (oltre l’obiettivo minimo dell’Accordo di Parigi), 800 milioni di persone in più rispetto ad ora vivrebbero in aree urbane con gravi problemi idrici, a causa dell’aumento della domanda d’acqua. Circa 100 milioni di persone (1 su 7 degli agricoltori del mondo nel 2050) sarebbero esposte a gravi livelli di siccità, riducendo la loro capacità di produrre cibo. Quattrocento milioni di persone che vivono sulle coste di mari e fiumi rischierebbero inondazioni costiere, con morti e ingenti danni materiali.

Se il riscaldamento globale al 2050 supererà i 2 gradi dai livelli pre-industriali (l’obiettivo minimo dell’Accordo di Parigi), fra le popolazioni più povere del mondo le persone esposte a rischi climatici saranno il doppio rispetto ad oggi, sostiene la ricerca di McKinsey & Company.

Qui sotto il grafico con trent’anni di emissioni di CO2. Visualizzati nell’infografica i numeri arrivano dall’Agenzia europea per l’ambiente attraverso lo European Data Journalism Network, progetto europeo di promozione del giornalismo basato sui dati del quale da qualche settimana InfoData è entrata a far parte.

 

Suddivisi per fonte di emissione, i dati raccontano come si è evoluta l’attenzione alla sostenibilità da parte dei paesi europei. Di default viene visualizzato il dato complessivo, ma il filtro nella parte bassa (in alto a sinistra per chi leggesse da desk), consente di selezionare una singola nazione. I valori sono espressi in milioni di tonnellate di CO2 equivalente, un’unità di misura che consente di misurare l’impatto di diversi gas climalteranti.

In generale, i numeri parlano di una contrazione. Significativa in particolare per il settore della produzione energetica, che hanno ridotto le emissioni del 36,2% tra il 1990 ed il 2018, e per l’industria, che le ha tagliate del 35,2%. In controtendenza i trasporti, che hanno invece visto un incremento nelle emissioni di CO2 equivalente pari al 19,6%. Questo a livello europeo. In Italia, infatti, la situazione è diversa.

Si conferma una significativa contrazione delle emissioni generate dalla produzione di energia (-31,8%), così come dell’industria (-32,6%). Più contenuto l’incremento dovuto ai trasporti, pari a poco più del 2%, mentre è da segnalare un deciso aumento della CO2 equivalente emessa per consumi residenziali e commerciali, saliti del 7,8% nei poco meno di trent’anni considerati. È anche su questi che occorrerà lavorare per centrare gli obiettivi complessivi di riduzione delle emissioni fissati da Bruxelles.