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cronaca

Il rischio alluvione, il consumo del suolo e la previsione dei disastri naturali. La mappa e gli scenari

Secondo l’ultimo rapporto dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) poco più del 4% del territorio italiano si trova in un’area a elevato pericolo di alluvioni, l’8,4% in uno scenario di pericolosità media, un altro 10,9% a pericolosità bassa.

Come ricorda il documento, da un lato è vero che le alluvioni sono fenomeni naturali impossibili da prevedere. Ma allo stesso tempo tante attività umane possono aumentare la probabilità che esse si verifichino e renderne più gravi le conseguenze. Fra loro per esempio la crescita degli insediamenti o delle attività economiche, oppure il progressivo consumo di suolo.

Per le caratteristiche del territorio italiano, risulta particolarmente esposto a quelle che vengono chiamate “piene repentine” (o flash flood), che fanno seguito a fenomeni meteorologici brevi e intensi. Si tratta di eventi che, mostrano diversi studi, risultano sempre più frequenti a causa di “variazioni climatiche significative” e del crescente consumo di suolo.

Per queste ragioni diventa importante sapere quanto suolo è stato usato nelle aree dove il pericolo di alluvioni è maggiore. La mappa che segue, basata sui dati più aggiornati forniti dall’istituto e relativi al 2019, mostra comune per comune quanta parte di suolo è stata utilizzata nei luoghi in cui vi è maggiore probabilità di eventi alluvionali intensi.

Le rilevazioni mostrano che in diverse località lungo tutta l’Italia, dalla Lombardia alla Calabria isole incluse, larga parte del territorio è stato consumato nonostante il pericolo di alluvioni frequenti. Nei piccoli comuni è facile trovare numerosi esempi dove il consumo è stato praticamente totale, ma anche guardando soltanto alle grandi città troviamo luoghi come Trieste in cui questo indicatore arriva a superare di pochissimo il 70%. A Palermo è il 65, a Genova il 60, a Milano e Venezia rispettivamente il 56 e il 53%.

Da queste analisi è esclusa buona parte delle Marche, per cui non sono disponibili dati.

Le aree dove il pericolo di alluvioni significative e frequenti appare maggiore è il nord-est, dove il 6,4% del territorio ricade in questa fascia. Nelle isole invece troviamo il contrario, e dunque è a pericolosità elevata una fetta minore di aree.

Più in dettaglio, la regione principale in questo senso è l’Emilia-Romagna, in cui l’11% del territorio ricade sotto lo scenario di maggiore attenzione. Segue la Lombardia, ma a una certa distanza al 7,8%, poi il Veneto al 6,7 e la Toscana al 6.

Questo per quanto riguarda il territorio. Ma l’istituto ha anche calcolato una serie di altri indicatori per stimare quante persone, famiglie, edifici, imprese e beni culturali sono a rischio alluvioni. Sono infatti poco più di due milioni (il 3,5% della popolazione) gli italiani e le italiane esposti soltanto allo scenario di maggiore pericolosità, con altri 6,1 milioni a quello di pericolo medio. Una parte importante dei primi si trova in Liguria o Emilia-Romagna, dove parliamo di circa un abitante su dieci.

Per gli edifici esposti al maggior rischio di alluvione la situazione è per alcuni aspetti simile: l’ISPRA ha stimato che il 3,4% si trova in aree a pericolosità elevata, ma rispetto alla popolazione la regione con prevalenza maggiore è questa volta l’Emilia-Romagna. Diverso è invece il caso delle imprese a maggior rischio, che arrivano al 4,1% del totale: parliamo di circa 200mila aziende. In questo caso la Liguria torna a emergere, come regione in cui quasi un’impresa ogni cinque è ad alto rischio.

Le alluvioni non mettono in pericolo soltanto persone, edifici, o imprese, ma anche beni culturali. Fra quelli censiti poco meno di 14mila (ovvero il 6,8% del totale) ricadono nello scenario di pericolosità elevata. Di questi buona parte (circa 4mila) si trova in Veneto, mentre è di nuovo la Liguria la regione con la fetta maggiore di elementi ad alto rischio.

I possibili danni delle alluvioni al patrimonio artistico e culturale sono tutt’altro che teorici. Come ricorda il rapporto: “nel comune di Firenze, i beni architettonici, archeologici e monumentali esposti a rischio idraulico nello scenario attuale di pericolosità media risultano 1.259, tra cui la Basilica di Santa Croce, la Biblioteca Nazionale, il Battistero e la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, che furono, insieme a tanti altri beni culturali, duramente colpiti durante l’alluvione del 1966. Nei magazzini della Biblioteca Nazionale Centrale migliaia di volumi, tra cui preziosi manoscritti o rare opere a stampa, furono coperti di fango, e una delle più importanti opere pittoriche di tutti i tempi, il Crocifisso di Cimabue conservato nella Basilica di Santa Croce, venne gravemente danneggiato. La nafta del riscaldamento impresse le tracce del livello raggiunto dalle acque su tanti monumenti; quasi tutte le formelle del Ghiberti si staccarono dalla Porta del Paradiso del Battistero di Firenze e ingenti furono i danni ai depositi degli Uffizi. Il restauro di migliaia di manufatti mobili a carattere storico-artistico si protrasse per decenni”.