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In cinque punti l’impatto di Covid-19 sul lavoro delle donne #spiegatobene

Le categorie più colpite dall’emergenza sanitaria sono state quelle che già erano lavorativamente più svantaggiate: le donne, i giovani e gli stranieri. Le donne che hanno perso il lavoro nel 2020 sono il doppio rispetto ai colleghi uomini. Questo da un lato perché occupano più spesso posizioni lavorative meno tutelate, ma dall’altro perché sono impiegati nei settori che sono stati più colpiti della crisi. Quest’ultimo è un aspetto su cui dovremo riflettere.

Iniziamo ad avere i primi dati solidi sull’impatto della pandemia sul mercato del lavoro, o meglio sulle categorie più fragili, quindi della crisi in termini di disuguaglianze. Molto è stato detto, diversi numeri provvisori sono stati diffusi negli scorsi mesi, che provavano a fare sintesi, ma la sintesi ha bisogno di analisi, prima. E di dati “granulari” come si dice, cioè dettagliati. Parlare di “impatto di COVID-19 sul mercato del lavoro” in termini generali di “lavoratori” non permette di capire la cosa fondamentale: chi è rimasto davvero indietro.

Il rapporto appena pubblicato da Istat in collaborazione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Inps, Inail e Anpal dal titolo Il mercato del lavoro 2020. Una lettura integrata, cerca di andare in questa direzione.

Dal documento emergono 5 elementi che riguardano l’occupazione femminile.

Primo, la percentuale di donne che ha perso il lavoro nel 2020 è stata doppia rispetto a quella dei maschi che lo hanno perso. La caduta del tasso di occupazione è stata dell’1,3% fra le donne contro lo  0,7% negativo fra gli uomini. Il gap sul tasso di occupazione tra donne e uomini passa da 17,8 punti del 2019 a i 18,3 punti percentuale in favore di questi ultimi.

Nei primi due mesi del 2020, prima delle chiusure la crescita tendenziale delle posizioni occupate è simile per maschi e femmine, mentre da marzo in poi la forbice si è aperta e lo svantaggio delle donne rimane decisamente marcato fino alla fine del periodo analizzato.

Per avere un contesto, nei primi sei mesi del 2020 rispetto ai primi sei mesi del 2019, 436 mila persone in meno hanno iniziato un lavoro (-30,2%) mentre 490 mila persone in più hanno concluso un rapporto di lavoro nello stesso periodo (+62,2%).

Secondo, il divario occupazionale di genere che si era creato durante il lockdown non è stato colmato, e nemmeno si è ristretto nei mesi successivi.  Il periodo più duro per l’occupazione femminile è stato il primo lockdown, ma la rilevazione del 14 giugno 2020 mostra che la variazione tendenziale delle posizioni scende al -2,9% per i maschi fino al -4,8% per le femmine, e il 31 luglio 2020, il divario permane: -1,6% fra gli uomini e -3,1% fra le donne.  Fino a giugno i tassi di attivazione per le posizioni occupate dalle donne sono scesi molto più rapidamente e anche nei mesi successivi il rallentamento della decrescita è più contenuto tra le posizioni femminili rispetto a quelle maschili.

Terzo, le donne risultano più penalizzate anche nelle nuove assunzioni. Considerando i primi nove mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, si registra un calo del 26,1% delle nuove assunzioni che hanno riguardato le donne a fronte della diminuzione del 20,7% dei contratti attivati per gli uomini. Nel secondo trimestre 2020, la riduzione delle attivazioni dei rapporti di lavoro delle donne supera di 6,2 punti percentuali il calo osservato per la componente maschile. Con l’estate le cose non sono andate molto meglio. Al 30 settembre 2020 il saldo annualizzato per gli uomini è nuovamente positivo e risulta già in crescita di 15 mila posizioni, mentre per le donne si registra un calo di 38 mila posizioni.

Quarto, le donne sono la categoria ad aver registrato il minore numero di reingressi nel mercato del lavoro. Dal 4 maggio al 30 settembre 2020 sono rientrati nel mercato del lavoro 67 mila persone che avevano perso la propria occupazione durante il periodo 1 febbraio- 3 maggio. Ma solo il 42,2% delle donne ha goduto di questa possibilità.

Quinto, per le lavoratrici che sono riuscite a trovare lavoro è stata più dura riuscirci. Le donne sono la categoria (anche se parlare di donne come di una categoria lascia a desiderare…) che ha dovuto attendere il maggior tempo prima di trovare una nuova occupazione. 100 giorni in media, cioè tre mesi: 21 giorni in più rispetto al 2019.

 

Tutto ciò premesso, dire che la percentuale di donne che ha perso il lavoro è molto maggiore di quella degli uomini neo disoccupati deve tenere conto del fatto che al di là di COVID19 la situazione occupazionale delle donne era precaria. Non è colpa della pandemia se le donne stanno soffrendo di più. Non possiamo paragonare con faciloneria due percentuali negative di questo tipo.

Qualche dato messo in fila si trova nel documento Misure a sostegno della partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per la conciliazione delle esigenze di vita e di lavoro, del febbraio 2020

Nel 2019 il 17% delle donne lavorava a tempo determinato, mentre quelle in part time erano  un terzo del totale delle occupate, contro l’8,7% fra gli uomini, percentuale che sale al 42% fra le donne senza un diploma. I comparti in cui il part time è più diffuso sono gli alberghi e ristoranti (47,3%) e i servizi alle famiglie (58,4%); mentre le professioni in cui si segnalano le maggiori incidenze di part time sono quelle non qualificate e quelle svolte nelle attività commerciali e nei servizi.

Nel Meridione nel 2018 solo il 32,2% delle donne tra i 15 e i 64 anni lavorava, contro il 59,7% nel Nord.  Un valore inferiore alla media nazionale delle donne occupate nel 1977 (33,5%).

 

Non possiamo non osservare che qui come spesso accade il dato di genere non è esplicitato per tutte le categorie. Si parla di tasso di occupazione fra uomini e donne, ma fra gli under-35 nel complesso o fra gli stranieri nel complesso. Sarebbe utile sapere qual è il tasso di occupazione fra under-35 donne e uomini, fra stranieri donne e uomini, e via dicendo.