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cronaca

Diecimila parole, 34 canzoni e alcune migliaia di note. Ecco il nostro Sanremo word-driven. Qualcosa non è cambiato

E non poteva essere altrimenti. Nell’anno del Covid-19 anche l’immarcescibile musica leggera italiana sembra risentire di un “tremito nella forza” per usare una espressione alla Guerre Stellari. Laddove nulla sembra cambiare qualcosa invece è cambiato. Le parole. Ma solo quelle.

Grazie alla collaborazione con Italiani.Coop abbiano analizzato diecimila parole in 34 canzoni. Giocando con Excell le abbiamo comparate a quelle dell’anno scorso e le abbiamo poi  rappresentate in queste word cloud. Ebbene, se l’anno scorso – siamo agli inizi di febbraio il Covid-19 quindi c’era già ma non lo sapevano ancora –  all’Ariston era tutto un fiorire nei testi di “cuore”, “sole” e “amore” nella più classica tradizione sentimental-melodica del “volemose bene”, quest’anno i toni sono cambiati. Non tanto le melodie e neppure i meta-messaggi a cambiare sembrano essere le parole. E solo quelle.  Continuiamo a muoverci da quelle parti: il sentimento, l’amore, l’amore malato, l’amore che ama, l’amore che ignora. Sullo sfondo le grandi ingiustizie, la solitudine, noi che ci cerchiamo e non ci ritroviamo mai. Il solito canzoniere insomma. A dispetto delle attese i cantanti e le cantanti hanno avuto l'”intelligenza” di tenersi lontano dal Covid-19 e dalla pandemia. Il virus corre ancora troppo nelle vite delle persone e per diffonderlo dentro una canzone ci vorrebbe una sensibilità e una poesia che forse manca a questa generazione di autori. Meglio ripiegare su quello che si conosce meglio. Leggendo i testi delle canzoni si parla sempre e comunque tanto d’amore. Se volessimo trovare una discontinuità potremmo isolare i riferimenti ai farmaci (curioso) ai numeri (rivelatore) e ai pronomi personali (io,tu, noi ecc). Ecco quest’anno Sanremo ha dato letteralmente del tu al suo pubblico.

Le ragioni possono essere molteplici. E non esserci affatto. Come avete visto e sentito durante la puntata di Think, Tally, Talk con  Kenobi sul palco dell’Ariston però c’è un dato nuovo oltra a quello legato al quadro pandemico. E’ salita una nuova generazione di cantanti. Non solo i prodotti costruiti ad hoc dalle case discografiche ma anche esponenti di varie scene italiane. Non sono saliti sul palco nuovi generi e neppure grandi innovatori (ammesso che di innovatori si possa parlare). Sono cambiate un po’ solo le parole. Quasi come a suggerire, a bassa voce, che qualcosa è cambiato. Qualcosa di talmente grosso da non avere saputo trovato il suo spazio in una canzone.