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cronaca

Trenta giorni di lockdown in Italia in dieci grafici. L’altro racconto della diffusione (dei dati)

E’ la sera del 9 marzo e Giuseppe Conte annuncia agli italiani che “purtroppo tempo non ce n’è”. Troppi malati, troppi morti (le vittime erano 463, oltre 17 mila adesso). Perciò dal 10 marzo, un nuovo decreto e lockdown. Parola dal suono duro per dire che il Paese si chiude e si ferma, tranne i servizi essenziali. Il giorno dopo l’Organizzazione mondiale della sanità sentenzia: è pandemia. L’Italia sceglie una doppia quarantena forzata fino al 3 aprile, poi estesa al 13. Ma questa emergenza, raccontata con numeri e grafici inizia molto prima. Per il mondo e per chi ha seguito da subito la diffusione del virus, la prima mappa che ha provato a tracciare il virus che da lì a breve avrebbe investito tutto il mondo arriva da una università americana con sede a Baltimora, Maryland.

Il 22 gennaio, la Johns Hopckins University inizia a pubblicare i dati sulla diffusione del virus. All’epoca i casi erano concentrati soprattutto nella regione cinese dell’Hubei, da dove l’infezione è partita, con pochi contagi al di fuori dei confini di Pechino. L’ateneo americano ha realizzato una mappa interattiva che descrive la diffusione dell’epidemia, uno strumento digitale che è stato condiviso da molte testate giornalistiche anche in Italia. Come raccontiamo qui vengono resi disponibili i dati, ovvero i numeri utilizzati per costruire la mappa. Diventa la principale fonte di informazione per i giornali  internazionali fino allo scoppio del primo focolaio di infezione fuori dalla Cina.

E’ il 21 febbraio quando vengono scoperti i primi casi italiani a Codogno e a Vo Euganeo. Il Paese dei 21 sistemi sanitari regionali si muove subito in modo confuso e disarticolato. Sullo sfondo – in Italia e nel mondo – università, data scientists, cittadini e associazioni chiedono dati in formato aperto per potere studare il virus. Associazioni come Ondata in prima linea ma anche produttori di tools informatici e di grandi piattaforme digitali come GoogleFacebook o Waze offrono strumenti di analisi e dati di cui sono in possesso.

Il corto circuito Regioni, Iss e Protezione civile. Ed è qui che sono iniziate le complicazioni. Intanto perché nel Paese dei 21 sistemi sanitari, almeno in un primo momento, ci si è mossi in ordine sparso. Con situazioni paradossali come quella vista in Piemonte, dove domenica 23 febbraio alle 15 la Regione annunciava sul proprio sito il contagio di 6 persone, salvo poi ridurre il numero a 3 alle 20.30 della stessa giornata. Il tutto mentre nel primo fine settimana dopo lo scoppio dell’epidemia né il ministero della Salute, né la Protezione civile, né l’Istituto superiore di sanità pubblicavano sul proprio sito aggiornamenti rispetto al numero dei nuovi casi di contagio accertati. Si crea un corto circuito informativo tra le Regioni e l’Istituto superiore di Sanità fino all’ingresso della Protezione civile nell’agone mediatico.

Lunedì 24 febbraio la Protezione civile inizia a pubblicare aggiornamenti quotidiani, suddividendo i contagiati in casi di ricovero in terapia intensiva o soltanto in ospedale e gli isolamenti volontari. Così come la suddivisione territoriale, per quanto solo su base regionale. Come si vede sotto è un foglio excell in formato Pdf.

Anche grazie alla campagna online lanciata da OnData, sabato 7 marzo la Protezione civile implementa una mappa sul modello di quella della John Hopkins, consultabile anche da mobile. Inoltre apre un repository su GitHub dove pubblica tutti i dati raccolti in queste settimane.

Qui trovate la mappa interattiva della protezione civile.

Il Nord in ginocchio. Nel mentre i numeri del contagio crescono esponenzialmente. Dall’8 marzo tutta la Lombardia è blindata, compresi Alzano e Nembro che sono la Wuhan cinese in terra bergamasca e che alcuni avrebbero voluto chiudere prima. E’ una delle polemiche più calde, insieme a quella sulle mascherine introvabili (quasi 82 milioni quelle distribuite finora, secondo la Protezione civile). Annunciando il lockdown, Conte non parla di zona rossa ma di “zona protetta”. E così protetti per 31 giorni, attraverso 5 decreti del premier, 80 fra ordinanze della Protezione civile, del commissario per l’emergenza Arcuri e norme dei ministri, 4 moduli diversi di autocertificazione per uscire, l’Italia cambia. Fuori e dentro. Gli assembramenti sono vietati e il mantra diventa “almeno un metro di distanza”.

#tuttiacasa. Ci si ritrova in casa, ad aspettare davanti al televisore il bollettino quotidiano della Protezione civile in attesa di un qualche segnalo positivo. Sul web statistici e matematici propongono modelli e curve matematiche di previsione del contagio. Escono numerosi articolo scientifici che provano a stimare il numero reale dei contagi e l’impatto delle misure di contenimento. Si compie con questo rumore di fondo fortissimo il secondo cortocircuito, questa volta non nella comunicazione ma nell’interpretazione mediatica dei numeri.

La complessità dell’interprezione del dato. Come spieghiamo subito su Info Data i dati annunciati ogni giorno dalla protezione civile risultano poco significativi. Per questo non li abbiamo commentati giorno per giorno. Già in tempi normali raccogliere informazioni da fonti diverse a un ritmo così sostenuto, metterle insieme in forma sistematica e senza errori non è per nulla facile. Le difficoltà si moltiplicano poi in una situazione di grave crisi come quella in cui ci troviamo.  Come sottolineiamo anche qui nei dati forniti dalla Prociv ci sono attualmente molti limiti. Ad esempio, i tamponi. E poi ci sono problemi di ordine matematico e statistico.

Il rebus della Lombardia e l’impatto del virus a livello regionale. Eppure, nonostante sia chiaro a tutti che i contagi siano sottostimati emergono evidenti differenze da regione a regione. Il Veneto fin da subito diventa un caso “virtuoso” per risposta territoriale e sanitaria all’emergenza. Qui sotto trovate i numeri aggiornati.

 

 

 

Impariamo presto come l’andamento dell’epidemia abbia dinamiche comunicative e di contagio dvierse da regione a regione. Ogni sistema sanitario lavora con regole diverse e risultati diversi sul fronte dell’emergenza come dimostrano i casi di Emilia-Romagna, Toscana, Piemonte.

Si comincia così a ragionare sull’impatto economico del lockdown che ora sta interessanto non più solo la Cina e l’Italia ma tutto il mondo. Le Borse entrano in una fase di volatilità senza precedenti. Qui sotto il grafico di Piazza Affari nella tragica giornata di martedì 10 marzo, dopo tre settimane da incubo.

In Italia, il 12 marzo si supera la quota dei mille morti, i malati sono quasi 13mila. Il 18 marzo il Governo vara il ‘Cura Italia’, decreto con una nuova serie di misure – molte economiche – per l’emergenza. Tra le misure per le famiglie che rientrano nel pacchetto: l’Rc auto valida un mese dopo la scadenza, i congedi speciali pari al 50% della retribuzione o voucher babysitter per i lavoratori, dipendenti o autonomi, con figli piccoli a casa da scuola per l’emergenza coronavirus; il rinvio del pagamento dei contributi Inps per il lavoro domestico. Nel pacchetto anche lo stop ai licenziamenti per due mesi, e l’estensione della cassa integrazione in deroga a tutti i settori mentre agli autonomi sarà riconosciuta una indennità una tantum di 600 euro per il mese di marzo. E poi ancora sospensione delle rate del mutuo sulla prima casa per chi è in difficoltà, estesa anche alle partite Iva, senza necessità di presentare l’Isee.

La mobilità nell’era del lockdown. Si comincia a ragionare sul rispetto delle misure dil lockdown sulla popolazione. Il quadro è sconfortante. E come al solito la fotografia non è quella sperata.

 

La rilevazione è stata fatta su un campione nazionale, nei 5 giorni lavorativi dal 18 marzo al 25 marzo, confrontati con i dati nei primi cinque giorni lavorativi di febbraio, precedenti al decreto di lock down e al primo caso di Codogno.

 Guardiamo prima al dato generale. La media italiana. La percentuale di persone che dal 18 al 25 marzo sono rimaste a casa è del 33%. Solo il 21% ha continuato ad andare al lavoro, mentre il 19% è uscito da casa, senza andare al lavoro, con tragitti tra i 200 mt e 500 mt. C’è anche chi si è mosso su distanze più lunghe. Il 27,5% del campione si è allontanata da casa per più di 500mt.  Riassumendo, il 68% dei lavoratori italiani non è più andata a lavorare. 

L’anomalia lombarda. I numeri e l’attenzione è concentrata sul dato della Lombardia. Il 20 marzo la regione Lombardia decide di rendersi autonoma nella produzione di dati.  Beninteso, i dati lombardi arrivano comunque a Roma e vengono caricati sul portale nazionale. Ma Milano va per la sua strada non solo polticamente ma anche sviluppando un portale identico a quello romano.

 

 

Si cominciano a contare i decessi. Il primo aprile esce l’inchiesta su l’Eco di Bergamo sulla città che più di ogni altra sta soffrendo il contagio. Il numero reale delle persone morte con Covid_2019 a Bergamo nel mese di marzo sarebbe di 4500, piu’ del doppio di quello ufficiale di 2060. Istat pochi giorni dopo esce con i dati sulla mortalità in Italia da quando è scoppiata l’epidemia da Covid-19.  Si conferma così che con il diffondersi del contagio i decessi sono più che raddoppiati rispetto alla media 2015-19.

Ad essere colpiti di più sono gli anziani.  Analizzando i dati viene stimata una mortalità anche dieci volte superiore al normale. In diversi comuni addirittura quasi uno ogni venti abitanti tra quelli meno giovani ha perso la vita. In nemmeno un mese. Quella che trovate è una mappa della mortalità degli anziani per comune nella regione lombarda.

 

 

 

Nel grafico sottostante potete trovare tutti i valori suddivisi per classe di età. Elaborazione Ufficio Studi Il Sole 24 ORE su dati Istat.

E siamo arrivati al decimo grafico che non esaurisce la storia delle diffusione (dei dati) di questo drammatico accadimento che continueremo a descrivere sempre su questo blog. Per questo motivo noi di Infodata abbiamo deciso di aprire questa pagina, che aggiorneremo quotidianamente con i link ai luoghi dove le regioni condividono i dati, mano a mano che li identifichiamo. Ci interessano particolarmente i ricoveri in terapia intensiva e non, a livello DI SINGOLO OSPEDALE, come indicatore di sistema. Sono comunque utili i medesimi dati anche solo a livello provinciale. Qui sotto la mappa pubblicata il 20 marzo che continuiamo ad aggiornare ogni domenica.
Ultimi commenti
  • luca pomi |

    Innanzi tutto complimenti per l’articolo e il lavoro che svolgete, e come lo svolgete.

    Vorrei esprimere alcune considerazioni, di carattere generale, sui dati pubblicati da vari enti e in particolare alcune considerazioni sulle modalità di rilevo degli stessi, che solitamente non sono pubblicati, ma che incidono poi con le analisi e le congetture che ne derivano.

    Sui dati relativi ai decessi secondo me sarebbe interessante se le strutture fornissero oltre al numero dei covid anche quelli deceduti per altre patologie in modo da poter analizzare la “distanza” fra la causa covid e altre e poter paragonare se e quando i numeri dell’emergenza sia in qualche modo simile alle altre cause.

    Sui nuovi positivi, tralasciando considerazioni sull’efficenza, metologie diverse ecc ecc , sarebbe utile poter capire se i nuovi positivi si riveriscono semplicemente alla differenza fra un giorno all’altro o siano considerati anche campioni ripetuti sullo stesso soggetto, Se un campione risulta positivo ed è riferito ad un paziente che lo era già, non dovrebbe essere conteggiato come “nuovo”. Secondo la mia modesta esperienza credo siano fatti sui numeri totali dei campioni e non sui soggetti, il che potrebbe variare anche di molto le cifre se i tamponi sono ripetuti più volte sugli stesse soggetti.

    Sui dati dei decessi provenienti dalle anagrafi comunali, occorre tener presente alcuni fatti:
    Le anagrafi comunali registrano i decessi con alcuni giorni di ritardo, inserendo la data di decesso e la data di inserimento del decesso.
    Le anagrafi comunali, per legge, registrano i decessi dei cittadini nati nel comune (la residenza della famiglia al momento della nascita). Per cui se uno muore a Milano , residente a milano ma nato a Palermo il decesso viene registrato a Palermo e dal lato opposto se uno nato a Milano, residente a Bologna muore a Palermo per una qualsiasi causa, il decesso sarà registrato a Milano.
    Questo comporta una certa cautela nel analizzare i dati delle anagrafi comunali, occorrerebbe considerare non il comune anagrafico (quello di nascita) ma il comune di decesso, che viene registrato e sarebbe disponibile.

    Sempre sui dati relativi alla popolazione residente da istat o da comuni, occorre tener presente che per utilizzare come indicatore la media, la distribuzione degli eventi dovrebbe essere “gaussiana” . Un indicatore statistico che viene usato per analizzare alcuni fenomeni naturali, è il percentile o quantile, che indica il numero che rappresenta il 75% o il 90 o il l99% della distribuzione dei dati , in modo da poterlo confrontare con i dati covid e verificare se stiamo osservando un evento “estremo”.

    In sostanza sarebbe buona cosa avere informazioni (metadati) sulle metodologie e le elaborazioni con cui i numeri vengono dati, in modo da poterli elaborare in modo più “consapevole” rispetto ai fenomeni che si vogliono studiare.

    Spero che il mio contributo possa essere stato utile e spero che attraverso il vostro gruppo o varie comunità / canali possano emergere richieste per una maggior chiarezza sui dati oltre che i dati.

    Cordiali saluti.

  • Matteo Strano |

    In questa ricostruzione si trascurano i grossi errori iniziali commessi su suggerimento di Ricciardi

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