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economia

Farmaci, statine e antipertensivi: cresce il consumo ma pochi seguono bene la terapia

Sebbene numerose evidenze scientifiche abbiano dimostrato che un’adeguata aderenza e persistenza alla terapia con statine sia associata a una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari, i farmaci per tenere sotto controllo il colesterolo, sono fra le categorie con la peggiore aderenza terapeutica. Secondo quanto emerge da un sondaggio condotto da AIFA su 191.276 soggetti nuovi utilizzatori di statine con un’età mediana di 65 anni, il 41,6% di chi assume questi farmaci presenta bassa aderenza, cioè presenta una copertura terapeutica, valutata in base alle DDD, inferiore  al 40% del periodo di osservazione. Solo il  20,6% degli utilizzatori segue perfettamente la terapia. Si parla di “alta aderenza” quando la copertura terapeutica è superiore all’80% del periodo di osservazione.

Le donne sono molto meno aderenti rispetto agli uomini: il 46% presenta bassa aderenza, contro il 36% dei maschi, e solo il 15% una perfetta aderenza, contro il 26% degli uomini.

Pessima è anche la continuità nell’utilizzo delle statine: circa il 20% degli utilizzatori interrogati ha interrotto la terapia dopo un mese dall’inizio e solo il 33% dei nuovi utilizzatori risulta essere ancora in trattamento dopo un anno, con una percentuale di uomini maggiore rispetto alle donne (38% vs 29%). A 150 giorni dall’inizio della terapia – cioè a meno di sei mesi, per una terapia che spesso dovrebbe durare tutta la vita – la probabilità di interrompere il trattamento è del 50%, ancora una volta con una marcata differenza tra uomini (180 giorni all’interruzione) e donne (130 giorni).

Eppure, sempre di più sono le persone che si vedono prescrivere le statine. Solo dal 2017 al 2018 si è registrata una crescita del 3,3% nel consumo di statine in termini di DDD, e un aumento di 12 punti percentuali dal 2013. Una di queste molecole, l’atorvastatina, che riduce i livelli di colesterolo “cattivo” (LDL) e quelli dei trigliceridi, aumentando quelli di colesterolo “buono” (HDL), è al terzo posto assoluto per spesa convenzionata nel 2018, e seconda per consumi. In regime di assistenza convenzionata, tra i primi 30 principi attivi per spesa, troviamo ai primi posti il colecalciferolo (una forma di vitamina D), il pantoprazolo (che riduce la produzione di acidi nello stomaco) e l’atorvastatina, mentre per consumo il ramipril (farmaco per il trattamento della pressione alta), l’atorvastatina e l’acido acetilsalicilico (l’aspirina).

Nel complesso, secondo i dati riportati dal rapporto OSMED 2018 di AIFA “L’uso dei farmaci in Italia”, nell’anno appena trascorso si sarebbero spese 477,8 milioni di euro per le statine in regime convenzionato, 100 milioni in più di quanto si è speso per i betabloccanti (310,9 milioni di euro) e un quarto della spesa farmaceutica complessiva per ipertensione e scompenso (2.013 milioni di euro). Per fare un paragone, si tratta della metà della spesa rispetto al comparto degli antibiotici.

Al primo posto le molecole con più alta spesa pro capite (4,11 euro) troviamo proprio l’atorvastatina. Essa rappresenta l’8,4% della spesa farmaceutica convenzionata della categoria e in un solo anno il consumo di atorvastatina è cresciuto del 6,8%: dalle 29 DDD/1000 ab die del 2013 alle 46 del 2018.

Per nulla buona è anche l’aderenza alla cura per i farmaci antipertensivi, che presentano consumi forti, anche se stabili negli ultimi anni: nella fascia superiore ai 75 anni del campione sono stati prescritti a una persona su dieci. Qui il gruppo esaminato era di 270.497 soggetti nuovi utilizzatori di farmaci antipertensivi, con un’età mediana di 63 anni. Il 23,8% del campione presenta un’alta aderenza terapeutica, mentre esattamente una persona su tre assume non correttamente i farmaci che dovrebbe.

Anche per gli antipertensivi, nella maggior parte dei casi la terapia va portata avanti per tutta la vita. Eppure, il sondaggio condotto da AIFA mostra che solo il 40% dei nuovi utilizzatori risulta essere ancora in trattamento a un anno dall’inizio della terapia. Già a 189 giorni dall’inizio della terapia (6 mesi) la probabilità di interrompere il trattamento è del 50%. Ancora una volta le donne sono meno precise: già dopo 162 giorni la metà di esse ha la probabilità di interrompere la terapia salvavita.