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cronaca

Università: studiare al Nord o al Sud? Ecco in quali atenei conviene di più e perché

Quando si tratta di scegliere o un ateneo o l’altro meglio pensarci con calma e con le informazioni giuste: si tratta di una decisione che a seconda dei casi può portare a risultati ottimi o al più mediocri.

Le statistiche aggiornate al 2018 del consorzio Alma Laurea, che hanno analizzato come sono andate le cose per centinaia di migliaia di neo-laureati, mostrano per esempio che fra gli estremi opposti di Enna, in Sicilia, e Bolzano nel Trentino-Alto Adige esiste una differenza che vale in media oltre mille euro al mese quanto a stipendi medi e 40 punti percentuali in più nella possibilità di trovare un posto di lavoro.

In generale, retribuzioni migliori e maggiore frequenza di avere un impiego sono più comuni per i neo-laureati degli atenei del nord, mentre via via che scendiamo verso il meridione i risultati peggiorano. Eccezioni notevoli sono il politecnico di Bari, i cui studenti fanno bene quanto tante altre università del settentrione, o nell’altro verso diversi atenei del centro che si dirigono piuttosto verse la parte più negativa del quadrante.

Tutte le statistiche presentate qui si riferiscono ai nuovi dottori, tre anni dopo che hanno conseguito la laurea.

 

Senza arrivare agli estremi nei nostri numeri, anche confrontando due grandi atenei come il politecnico di Torino e la Federico II di Napoli saltano fuori numeri che valgono diverse centinaia di euro al mese – in media – se guardiamo al reddito, e circa sette punti nel tasso di occupazione. Vuol dire che, dati cento neo-laureati in ciascuna delle due università, sette in più sono ancora senza un posto in quella partenopea.

 

Parte delle differenze, s’intende, dipende poi da cosa concretamente studiano le persone. Se per ipotesi un ateneo fornisce soprattutto corsi di laurea che dal punto di vista lavorativo portano a risultati scadenti è naturale che i risultati complessivi ne risentano. Poiché però l’università è comunque pagata dalla collettività, resta del tutto rilevante chiedersi se alla fine sia davvero opportuno continuare a finanziare questo tipo di corsi.

 

Nella visualizzazione interattiva che segue, è possibile selezionare due atenei differenti per confrontare i loro risultati in termini di lavoro.

 

Certamente gli atenei possono decidere quali corsi offrire, cosa insegnare ai ragazzi, e questo ha un peso notevole sugli esiti lavorativi. Esiste comunque un fattore su cui essi non hanno nessun controllo, ovvero le condizioni del mercato del lavoro locale.

Una parte significativa dei neo-laureati finirà per cercare un posto grosso modo nell’area in cui ha studiato, e questo naturalmente fa un’enorme differenza se parliamo del sud (dove secondo l’Istat nel 2018 lavorava  appena il 44,5% dei 15-64enni) oppure del nord (dove a lavorare è invece il 67,3% delle persone).

Detta in altri termini, alcuni atenei sono “naturalmente” più favoriti nei risultati occupazionali soltanto perché si trovano in aree dove le cose vanno meglio, e non per forza per meriti propri. Separare questi due effetti non è facile, ma possiamo comunque trovare qualche indizio confrontando quante persone hanno lavoro in generale nella provincia in cui si trova l’università – come metrica dell’efficienza generale del mercato del lavoro nell’area – e i risultati dei neo-laureati.

Vediamo così che la qualità dell’insegnamento vale comunque tantissimo: per esempio i risultati della Federico II e del “Suor Orsola Benincasa” – entrambi a Napoli – differiscono di un’enormità: circa venti punti percentuali nel tasso di occupazione dei nuovi dottori.

Atenei come quello di Chieti-Pescara, d’altra parte, portano a risultati non esattamente eccezionali anche considerando le caratteristiche dell’area in cui si trovano.