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tecnologia

Datagate e Gdpr spingono le startup delle tecnologie normative

Fra i tanti rivoli del datagate, lo scandalo dei dati che ha travolto Facebook, ce n’è uno che riguarda meno la cronaca sui «giganti tech in crisi» e più la giurisprudenza. La tecnologia corre a un ritmo tale da lasciare indietro il diritto, ad esempio sulla protezione delle informazioni o la compravendita dei profili degli utenti. Un vuoto che inizia a essere colmato da un numero in ascesa di startup, racchiuse sotto l’etichetta generica del regtech: letteralmente «tecnologie normative», le soluzioni per risolvere problemi regolatori e automatizzare processi che consentano di mantenersi conformi ai requisiti legislativi. I numeri ci sono e si fanno interessanti, per un segmento inesistente fino a qualche anno e giudicato ancora oggi al di sotto del suo potenziale finanziario.
Un report di Cb Insights, una società di ricerca, ha evidenziato un totale di quasi 5 miliardi di investimenti venture capital dal 2013 all’anno scorso. Si è partiti da poco meno di 560 milioni di dollari e 87 accordi nel 2013 per salire, nei primi nove mesi del 2017, a quasi 900 milioni di dollari e oltre 100 accordi. Tradotto nella pratica, l’attività di compliance delle startup si traduce in gestione dei rischi negli investimenti finanziari, software per il controllo delle proprie adempienze fiscali, sistemi di monitoraggio delle criptovalute e, più di recente, piattaforme per la vendita – legale – di prodotti a base di cannabinoidi. Il settore è così esteso che dentro allo stesso filone convivono «banche digitali» come la californiana token (18,5 milioni di investimenti in cassa nei primi due anni di vita), servizi finanziari per le aziende che producono marijuana (Hypure, fondata nel 2014 e finanziata con quasi 4 milioni di dollari) e software che automatizzano strumenti di sicurezza informatica (una “veterana” del filone come RiskIQ, nata a San Francisco quasi un decennio fa, ha incassato oltre 65 milioni di dollari dal 2009 ad oggi). I capitali crescono e gli investimenti iniziano a fluire su imprese a uno stadio già più maturo, superando il boom originario di finanziamenti a startup in via di formazione.
Sempre nel 2017, la quota di investimenti Series D o successivi ha raggiunto il 15%, lasciando intendere che l’interesse dei «capitalisti di ventura» si sta spostando su aziende più strutturate. E non solo quello dei capitalisti di ventura, visto il ruolo che inizia a essere giocato dagli istituti bancari. La californiana MetricStream, che si occupa di software di compliance, ha messo sotto chiave quasi 200 milioni di dollari di finanziamenti e vede tra i suoi lead investor colossi come Goldman Sachs. La conterranea Kyriba, specializzata in gestione della tesoreria, ha sfondato il tetto dei 150 milioni di finanziamenti grazie (anche) agli interventi di soggetti come Hsbc. Nella sua versatilità, il regtech sembra destinato a far fiorire più startup secondo trend ben scanditi sia dal punto di vista tematico che da quello tecnologico. Sul primo versante, i terreni fertili per gli startupper si dividono soprattutto fra finanza e Big data.
Per fare un esempio, le imprese potrebbero aver bisogno di soluzioni capaci di conservarle compliant con i tecnicismi della General Data Protection Regulation: il regolamento generale sulla protezione dei dati che entrerà in vigore a maggio di quest’anno, costringendo le società private a rivedere i propri criteri sull’utilizzo di informazioni personali. Per quanto riguarda lo stadio di avanzamento tecnologico, il trend che si annuncia dominante è quello dell’intelligenza artificiale, grazie a startup che adottano il machine learning per il riconoscimento dei rischi (come Neurensic), filtrare l’identità degli utenti (si pensi a Trooly, acquisita da Airbnb) e scovare frodi finanziarie. In autonomia, o quasi.