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Startup: l’Italia delle piccole della Blockchain. Tutti i numeri

Non ha ancora compiuto 10 anni eppure di strada ne ha fatta parecchia. La Blockchain, nata con la criptovaluta Bitcoin, e poi applicata ad altri ambiti, è stata “inventata” infatti nel 2008. Si tratta di un protocollo di comunicazione che identifica una tecnologia basata sulla logica del database distribuito: non un unico computer in cui sono memorizzati tutti i dati, ma più macchine collegate tra loro, chiamate nodi che garantiscono affidabilità e trasparenza. Due qualità che hanno attirato su questa tecnologia una grande attenzione a livello globale, anche da parte di società dal settore bancario, assicurativo e manifatturiero.
Secondo l’ultimo report elaborato da Cb Insight, il mercato delle criptovalute avrebbe una capitalizzazione che si aggira intorno a 150 miliardi di dollari, e le Ico (Initial coin offering: un mezzo di crowfunding non regolamentato per nuove criptovalute) nel settore sarebbero esplose toccando quota 250, pari a più di 2 miliardi di dollari raccolti solo nel 2017. Un trend che avrebbe stimolato anche gli investimenti da parte dei venture capital, passati da 138 deal nel 2016 a 188 nel 2017, per un valore (stimato) di 831 milioni di dollari. Questa crescita vertiginosa ha come motore principale proprio le startup. «Le soluzioni Blockchain sono solitamente promosse e sviluppate da community di sviluppatori che si muovono in modo destrutturato, ma anche le startup stanno rivestendo un ruolo fondamentale nella creazione del mercato, promuovendone la diffusione tra le aziende», spiega Valeria Portale, responsabile blockchain & distribuited ledger degli Osservatori del Politecnico di Milano e autrice di una ricerca sul tema realizzata dall’Osservatorio Startup intelligence del Politecnico di Milano in collaborazione con Polihub. Il report ha analizzato 192 startup operanti a livello nazionale e internazionale, di cui 166 hanno ottenuto complessivamente finanziamenti per circa 1,2 miliardi di dollari, ricevendo in media più di 7 milioni di dollari ciascuna. «È il segno di un buon interesse da parte degli investitori. Anche se – sottolinea Portale – il 77% dei finanziamenti erogati è andato al 13% delle startup che hanno ottenuto oltre 10 milioni di dollari ciascuna». A raccogliere più investimenti, secondo la ricerca, sono state le imprese finance (60%), seguite dalla categoria virtual currency (28%), e le startup general purpose (7%). «Seppur ancora marginali, stanno crescendo gli impieghi del blockchain in settori nuovi – rivela Portale – come quello assicurativo attraverso gli smart contract.
E vediamo applicazioni di questa tecnologia anche alla documentazione portuale, all’export, e al settore alimentare, dove blockchain può aumentare la tracciabilità della filiera». A conferma che il successo di questa tecnologia è un fenomeno recente, la ricerca dell’Osservatorio ha rilevato che l’80% del totale dei finanziamenti (circa 948 milioni di dollari) è stato erogato negli ultimi due anni. Una cifra raccolta soprattutto negli Stati Uniti (39%) dove hanno sede il 38% delle startup analizzate, contro il 32% dell’Europa e il 19% dell’Asia. «Gli Usa – ricorda l’esperta – sono stati i primi a capire il valore del blockchain tanto che oggi grandi società come Walmart, Pfitzer, Ibm e Microsoft hanno iniziato a sviluppare proprie tecnologie. Negli ultimi due anni abbiamo rilevato però uno spostamento del baricentro delle startup dall’America all’Europa». Si tratta di un cambiamento che ha visto protagonisti Paesi come il Regno Unito – dove hanno sede il 13% delle startup prese a campione – ma non l’Italia che continua ad avere un ruolo marginale, con solo l’1% delle imprese totali e finanziamenti per 350mila euro, raccolti dalla sola Viveat, (startup che combina blockchain e Internet of Things). «In Italia – evidenzia l’esperta – è mancato finora un mercato consapevole delle potenzialità di questa tecnologia che supportasse le startup. Così, le poche che se ne occupavano hanno scelto di andate all’estero dove il tessuto economico aveva già più familiarità con questi temi». È questo il caso di Conio, Uniquid e Oraclize che pur avendo sede in Usa e in Uk sono state fondate da italiani. «Oggi le cose stanno lentamente cambiando – continua Portale – e come Osservatorio abbiamo rilevato che sono nate una decina di nuove imprese tra cui la già citata Viveat, InBitcoin, Eternity Wall e Spidchain. Inoltre si stanno formando le prime community di sviluppatori anche nel nostro Paese come nel caso delle milanese BlockchainLab».