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tecnologia

Industria: in Italia c’è un robot ogni 62 operai

Un robot industriale ogni 62 dipendenti manifatturieri. È questo uno dei numeri che emerge dalla ricerca “ADP 5.0: come la digitalizzazione e l’automazione cambiano il modo di lavorare”, condotta da The European House – Ambrosetti, per conto di ADP Italia. La ricerca evidenzia come nell’ultimo decennio si sia assistito a profondi cambiamenti nello scenario competitivo internazionale, non solo per gli effetti indotti dalla crisi finanziaria globale sul fronte economico e commerciale, ma anche per l’avvento – e la crescente disponibilità a prezzi competitivi – delle nuove tecnologie digitali e per il cambiamento delle abitudini di consumo del cliente.

 

GLI INVESTIMENTI DELLE IMPRESE ITALIANE NELLA TRASFORMAZIONE DIGITALE

Solo in Italia, a fine 2016 il mercato dell’Industria 4.0 ha raggiunto il valore di 1,83 miliardi di euro (in crescita del 18,2% rispetto all’anno precedente e con un’incidenza del 44% per i prodotti e servizi ICT) e nel primo trimestre del 2017 la domanda di prodotti e soluzioni digitali 4.0 è aumentata tra il 10% e il 20%, con aspettative di mantenere una dinamica sostenuta per l’intero anno (fonte: rilevazioni Assinform).

LA ROBOTICA

I dati raccontano come l’Italia, ad oggi, sia tra i Paesi che utilizzano maggiormente tecnologie automatizzate nell’industria. Si contano in media 160 robot industriali ogni 10.000 dipendenti (1 ogni 62,5 operai) nella industria manifatturiera rispetto ai 150 della Spagna e ai 127 della Francia.

Secondo la ricerca, l’utilizzo delle tecnologie 4.0 nella produzione industriale e dei servizi garantisce il raggiungimento di alcuni benefici per i lavoratori e per l’offerta delle imprese:
– Minore sforzo fisico e maggiore sicurezza sul luogo del lavoro: l’utilizzo di robot collaborativi (i cosiddetti “cobot”) può ottimizzare notevolmente la produzione ed eseguire i lavori più rischiosi per i dipendenti.
– Passaggio da lavori routinari a mansioni di supervisione e controllo, con accelerazione dei processi di decision making: in Italia, il 55% dei lavoratori dichiara di svolgere delle funzioni routinarie e monotone, che potrebbero essere delegate alle macchine per lasciare spazio a mansioni più stimolanti.
– Maggiore qualità ed efficienza nella produzione e fornitura di servizi (si pensi alla sensoristica predittiva): l’integrazione dei macchinari esistenti con sensori permette di verificare il funzionamento del sistema e dei processi in modo predittivo, così da individuare per tempo eventuali malfunzionamenti e ridurre il fermo macchina insieme ai consumi di energia e materiale.

E se l’automazione e la robotica comportano una serie di vantaggi per i lavoratori, secondo la ricerca è necessario allo stesso tempo un ripensamento di ruoli e responsabilità, dato che una parte attuale della manodopera è potenzialmente a rischio: si stima infatti che in Italia la percentuale di occupati a rischio automazione sia pari al 14,9%, ovvero 3,2 milioni di persone. Tra i settori maggiormente esposti alla sostituzione uomo-macchina vi sono agricoltura e pesca (25%), commercio (20%) e l’industria manifatturiera (19%).

Da queste considerazioni emerge come le mansioni lavorative a “rischio sostituzione” più basso siano caratterizzate da:
– Non ripetitività.
– Capacità creative e innovative.
– Complessità intellettuale e operativa.
– Capacità relazionali e sociali.

Secondo il lavoro di The European House – Ambrosetti, l’evoluzione tecnologica non comporterà solo la scomparsa di alcune mansioni lavorative, ma sarà capace anche di generare nuovi posti di lavoro: per ogni posto di lavoro nato nei settori legati alla tecnologia, alle life science e alla ricerca scientifica si stima che siano generati – per effetti diretti, indiretti e indotti – ulteriori 2,1 posti di lavoro.

Ultimi commenti
  • Luca Tremolada |

    Grazie

  • Luca Tremolada |

    Grazie

  • Giancarlo Pallavicini |

    In merito all’apprezzabile Twitter di Alessandro Crisafulli, annoto che, secondo McKinsey e per effetto della robotizzazione e dell’intelligenza artificiale, nel 2066 avremo nel mondo 1,3 miliardi di posti di lavoro in meno. Negli USA, al termine dei prossimi 25 anni il 47% delle attività lavorative verranno svolte dai robot e, secondo Oxford University, sparirà la metà dei posti di lavoro. Sono indicazioni drammatiche, di fronte alle quali l’umanità dovrà valutare e assumere nuovi indirizzi per l’economia, soprattutto indirizzandone l’attività verso nuove e più ampie funzioni attente all’uomo ed al suo ambiente culturale e naturale. Migliorando nello sviluppo tecnologico la necessaria mediazione culturale ed indirizzando tale sviluppo all’utilizzo delle scoperte fatte dall’uomo, nel microcosmo come nei grandi sistemi, con motivazioni che, oltre al profitto, perseguano altri obiettivi ispirati alla centralità dell’uomo. Si consideri che attualmente soltanto il 5% delle scoperte ha trovato una diffusa applicazione tecnologica, dal che può concludersi che l’umanità sia molto più progredita di quanto appaia dall’attuale sviluppo tecnologico, eccessivamente orientato al mercato.

  • Giancarlo Pallavicini |

    In merito all’apprezzabile Twitter di Alessandro Crisafulli, annoto che, secondo McKinsey e per effetto della robotizzazione e dell’intelligenza artificiale, nel 2066 avremo nel mondo 1,3 miliardi di posti di lavoro in meno. Negli USA, al termine dei prossimi 25 anni il 47% delle attività lavorative verranno svolte dai robot e, secondo Oxford University, sparirà la metà dei posti di lavoro. Sono indicazioni drammatiche, di fronte alle quali l’umanità dovrà valutare e assumere nuovi indirizzi per l’economia, soprattutto indirizzandone l’attività verso nuove e più ampie funzioni attente all’uomo ed al suo ambiente culturale e naturale. Migliorando nello sviluppo tecnologico la necessaria mediazione culturale ed indirizzando tale sviluppo all’utilizzo delle scoperte fatte dall’uomo, nel microcosmo come nei grandi sistemi, con motivazioni che, oltre al profitto, perseguano altri obiettivi ispirati alla centralità dell’uomo. Si consideri che attualmente soltanto il 5% delle scoperte ha trovato una diffusa applicazione tecnologica, dal che può concludersi che l’umanità sia molto più progredita di quanto appaia dall’attuale sviluppo tecnologico, eccessivamente orientato al mercato.

  • Giancarlo Pallavicini |

    tecnologico verso percorsi virtuosi, in grado di esercitare favorevoli effetti anche nel medio e lungo termine. Ricordiamo che attualmente soltanto il 5% delle scoperte fatte dall’uomo, nel microcosmo come nei massimi sistemi, ha incontrato una diffusa applicazione tecnologica. Può quindi ritenersi che l’umanità sia molto più’ progredita di quanto non appaia dalle attuali applicazioni tecnologiche. E’ quindi auspicabile
    la ricerca di nuovi virtuosi percorsi, attenti alla centralità dell’uomo, che siano in grado di assecondare le
    istanze economiche e di profitto con quelle connesse ad altre istanze attente all’uomo, alla qualità della vita e all’ ambiente culturale e naturale, anch’esse in grado di apportare valore all’impresa.

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